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Traduzione di The Gospel Coalition

Questa non è una sintesi del nostro credo dottrinale (si veda la Confessione di fede), bensì una dichiarazione del modo in cui intendiamo espletare il ministero cristiano ed interagire con la nostra cultura all’insegna della fedeltà biblica e teologica.

(1) Come dovremmo rispondere alla crisi culturale relativa alla verità? (La questione epistemologica)

Per alcuni secoli, dall’inizio dell’illuminismo, la convinzione generale era che la verità – espressa in parole che sostanzialmente corrispondevano alla realtà – esista veramente e possa essere conosciuta. Si riteneva che la ragione umana, senza alcun tipo di aiuto, sia in grado di conoscere la verità in modo oggettivo. Più recentemente, il postmodernismo ha passato al vaglio questo insieme di presupposizioni, sostenendo che nella nostra ricerca della conoscenza non siamo in realtà oggettivi; piuttosto interpretiamo le informazioni ricevute attraverso le nostre esperienze personali, i nostri interessi, le nostre emozioni, i nostri pregiudizi culturali, le nostre limitazioni linguistiche e le nostre comunità relazionali. Il postmodernismo afferma che la pretesa di oggettività è arrogante, e che conduce inevitabilmente a conflitti tra quelle comunità che hanno opinioni diverse su dove si trovi la verità. Secondo la sensibilità postmoderna sarebbe proprio questa arroganza a spiegare, almeno in parte, molte delle ingiustizie e delle guerre dell’epoca moderna. Tuttavia, la risposta del postmodernismo è pericolosa in un altro modo: i suoi esponenti più forti insistono che le pretese di poter conoscere una verità oggettiva siano sostituite da un pluralismo più umile e ‘tollerante’ e più inclusivo e diversificato, un pluralismo in realtà spesso impantanato che non lascia alcun fondamento solido per «la fede che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre». Questa posizione non lascia spazio alcuno ad una verità che corrisponde alla realtà, ma solo ad una serie di verità formatesi soggettivamente. Come dovremmo rispondere a questa crisi culturale riguardo alla verità?

a. Affermiamo che la verità corrisponde alla realtà. Crediamo che lo Spirito Santo, il quale ha ispirato le parole degli apostoli e dei profeti, dimora anche in noi, che siamo stati creati ad immagine di Dio, affinché possiamo ricevere e capire le parole della Scrittura rivelate da Dio, e comprendere che le verità della Scrittura corrispondono alla realtà. Le affermazioni della Scrittura sono vere, proprio perché sono dichiarazioni di Dio; ed esse corrispondono alla realtà anche se la nostra conoscenza di quelle verità (e persino la nostra capacità di verificarle per gli altri) è sempre necessariamente incompleta. L’illuminismo, con la sua fede in una conoscenza pienamente oggettiva, rese la ragione umana autonoma un idolo. Tuttavia, negare la possibilità di una pura conoscenza oggettiva non comporta la perdita di una verità che corrisponde alla realtà oggettiva, persino se non ci è mai possibile conoscere questa verità a prescindere da un elemento di soggettività. Si veda Confessione di fede-(2).

b. Affermiamo che la verità è comunicata dalla Scrittura. Crediamo che la Scrittura è diffusamente proposizionale e che tutte le sue affermazioni sono del tutto veritiere e autorevoli. Tuttavia, la verità della Scrittura non può esaurirsi in una serie di proposizioni. La verità della Scrittura esiste nei generi letterari della narrativa, della metafora e della poesia, i quali non si possono distillare in modo esauriente in proposizioni dottrinali; eppure essi ci comunicano il pensiero e la volontà di Dio così da trasformarci a sua immagine. c. Affermiamo che la verità è corrispondenza di vita rispetto a Dio. La verità non è solo una corrispondenza teoretica, ma anche un rapporto pattizio. La rivelazione biblica non deve essere solo conosciuta, ma anche vissuta (Deut. 29:29). Lo scopo della Bibbia è quello di produrre in noi la sapienza, ossia insegnarci a vivere completamente sottomessi alla realtà di Dio. La verità è quindi corrispondenza tra la nostra vita (nella sua interezza), da una parte, e il cuore, le parole e le azioni di Dio, tramite la mediazione della Parola e dello Spirito, dall’altra. Eliminare il carattere proposizionale della verità biblica indebolisce seriamente la nostra capacità di tenere, difendere e spiegare il vangelo. Tuttavia, parlare della verità soltanto in termini di proposizioni indebolisce il nostro apprezzamento del Figlio incarnato quale Via, Verità e Vita, ma anche il genio comunicativo della narrativa e della storia, e l’importanza della verità come una vita vissuta veramente in corrispondenza rispetto a Dio.

I modi in cui questa concezione della verità ci modella. (1) In merito alla questione della verità, adottiamo una “disciplinata” teoria della corrispondenza, una teoria che è meno trionfalistica di quella di alcuni evangelici del passato. Ma rigettiamo anche una concezione della verità che la consideri meramente un linguaggio internamente coerente di una particolare comunità di fede. Per cui sosteniamo, con quella che speriamo sia un’appropriata umiltà, il principio del Sola Scriptura. (2) Sebbene la verità sia proposizionale, non è solo qualcosa in cui si deve credere, ma anche qualcosa che si deve ricevere con adorazione e praticare con sapienza. Questo equilibrio plasma la nostra comprensione del discepolato e della predicazione. Desideriamo incoraggiare la passione per la sana dottrina, ma sappiamo che la crescita spirituale non è solo ricevere informazioni a livello cognitivo. La crescita spirituale avviene quando tutta la nostra vita è formata in comunità dalle pratiche cristiane, tra cui la preghiera, il battesimo, la cena del Signore, la comunione fraterna, e il ministero pubblico della Parola. (3) La nostra conoscenza teorica della verità di Dio è soltanto parziale, persino quando è accurata; nondimeno possiamo avere la certezza che quello che ci dice la Parola è vero (Lc. 1:4). È tramite la potenza dello Spirito Santo che riceviamo le parole del vangelo con piena certezza e convinzione (1 Tess. 1:5).

(2) Come dovremmo leggere la Bibbia? (La questione ermeneutica) a. Leggere la Bibbia “in lungo”. Leggere l’intera la Bibbia “in lungo” significa identificare sia la sua trama basilare come la storia divina della redenzione (p.e., Lc. 24:44), sia i suoi vari temi (p.e., il patto, la sovranità, il tempio) che attraversano tutte le tappe della storia e tutte le parti del canone, tutto quanto culminando in Gesù Cristo. Secondo questa prospettiva, il vangelo si presenta come creazione, caduta, redenzione, restaurazione, mettendo in evidenza il fine della salvezza, ossia una creazione rinnovata. Come confessiamo in Confessione di fede-(1): [Dio porta] provvidenzialmente a compimento i suoi buoni propositi eterni per redimere un popolo per se stesso e per restaurare la sua creazione decaduta, a lode della sua gloriosa grazia..

b. Leggere la Bibbia “in largo”. Leggere la Bibbia “in largo” significa raccogliere in categorie di pensiero (p.e., teologia, cristologia, escatologia) dichiarazioni, comandi, promesse, e affermazioni di verità, per arrivare ad una comprensione coerente di cosa la Bibbia insegni sommariamente. Secondo questa prospettiva, il vangelo si presenta come Dio, peccato, Cristo e fede, mettendo in evidenza il metodo della salvezza, ossia l’opera sostitutiva di Cristo e la nostra responsabilità di abbracciarla per fede. Come confessiamo in Confessione di fede-(7): Gesù Cristo divenne nostro rappresentate e sostituto, affinché in lui noi diventassimo giustizia di Dio.

Il modo in cui questa lettura della Bibbia ci modella. (1) Molti (ma non tutti) di coloro che oggi sono specializzati nel primo dei due modi di leggere la Bibbia, ossia “in lungo”, si soffermano sugli aspetti più collettivi del peccato e della salvezza. La croce è vista principalmente come un esempio di servizio e di sacrificio e della sconfitta dei poteri di questo mondo, piuttosto che sostituzione e propiziazione per i nostri peccati. Paradossalmente, questo approccio può essere molto legalistico. Anziché chiamare le persone alla conversione individuale per mezzo di un messaggio della grazia, le chiama ad unirsi alla comunità cristiana e al programma regale relativo a ciò che Dio sta facendo per liberare il mondo. L’accento è posto sul cristianesimo come un modo di vivere, a detrimento dello status del credente come redento per il sangue di Cristo, mediante la fede individuale in lui. Questo squilibrio lascia poco spazio all’evangelizzazione e all’apologetica vigorose, alla predicazione espositiva e ai segni e all’importanza della conversione/nuova nascita. (2) D’altra parte, nel passato gli evangelici (sebbene non tutti) tendevano a leggere la Bibbia “in largo”. Il risultato era un individualismo accentrato quasi esclusivamente sulla conversione personale e la certezza di arrivare in cielo. Inoltre la relativa predicazione, sebbene espositiva, a volte era moralistica e non sottolineava il modo in cui tutti i temi biblici culminano in Cristo e nella sua opera. Questo squilibrio porta ad attribuire poca o addirittura nessuna importanza all’opera di giustizia e di misericordia a favore dei poveri e degli oppressi, e alla produzione culturale che glorifichi Dio nelle arti, negli affari, ecc. (3) Crediamo che il miglior modo di praticare queste due letture della Bibbia mostri come esse siano completamente compatibili, anche se oggi molti le contrappongono l’una all’altra. Al contrario, crediamo che queste due modalità di lettura, quando eseguite bene, siano entrambe indispensabili per afferrare il significato del vangelo biblico. Il vangelo è la dichiarazione che per mezzo della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, Dio è venuto per riconciliare gli individui per mezzo della sua grazia e per rinnovare l’intero mondo attraverso, e per la sua gloria.

(3) Come dovremmo rapportarci con la cultura? (La questione della contestualizzazione)

a. Essendo una contro-cultura. Vogliamo essere una chiesa non solo che cura i singoli credenti nel loro personale cammino con Dio, ma anche che li forma per costituire quella società umana alternativa che Dio crea per mezzo della Parola e dello Spirito. (Cfr. sotto il punto 5c). b. Per il bene comune. Non basta che la chiesa si opponga ai valori della cultura dominante. Dobbiamo essere una contro-cultura per il bene comune. Vogliamo distinguerci radicalmente dalla cultura che ci sta intorno, eppure proprio in virtù di quell’identità distintiva dovremmo sacrificarci, servendo il nostro prossimo e perfino i nostri nemici, operando per il bene delle persone, sia il loro bene temporale sia quello eterno. Perciò, non vediamo nell’adorazione comunitaria il nostro principale punto di collegamento con quelli di fuori. Piuttosto, ci aspettiamo di incontrare il nostro prossimo mentre ci diamo da fare per la sua pace, sicurezza e benessere, amandolo in parole e opere. Se così faremo, saremo «sale» e «luce» nel mondo (sostenendo e migliorando le condizioni di vita, mostrando al mondo la gloria di Dio con i nostri stili di vita; Mt. 5:13-16). Come gli ebrei esiliati erano chiamati ad amare e ad impegnarsi per la “shalom” di Babilonia (Ger. 29:7), anche i cristiani sono il popolo di Dio «in esilio» (1 Pt. 1:1; Giac. 1:1). I cittadini della città di Dio dovrebbero essere i migliori cittadini possibili delle loro città terrene (Ger. 29:4-7). Non vogliamo essere né eccessivamente ottimisti né eccessivamente pessimisti riguardo alla nostra influenza culturale perché sappiamo che, se camminiamo seguendo le orme di Colui che ha deposto la sua vita per amore dei suoi oppositori, saremo perseguitati anche quando riusciremo ad avere un impatto sociale (1 Pt. 2:12).

Il modo in cui questo rapporto con la cultura ci modella. (1) Crediamo che ogni espressione del cristianesimo debba essere necessariamente e correttamente contestualizzata, almeno in una certa misura, rispetto ad una specifica cultura umana; non esiste qualcosa come un’espressione universale ed astorica del cristianesimo. Tuttavia, non vogliamo mai essere così influenzati dalla nostra cultura che compromettiamo le verità del Vangelo. In che modo quindi possiamo mantenere un giusto equilibrio? (2) La risposta è che non possiamo “contestualizzare” il vangelo astrattamente, come se fosse un mero esperimento del pensiero. Se una chiesa cerca di essere contro-cultura in vista del bene temporale ed eterno delle persone, farà attenzione sia al legalismo che può accompagnare un inopportuno isolamento culturale sia al compromesso prodotto da un eccessivo adattamento alla cultura. Se ci disponiamo al servizio piuttosto che al potere, potremmo avere un impatto culturale significativo. Se, invece, aspiriamo ad avere potere diretto e controllo sociale, saremo paradossalmente assimilati dalle medesime idolatrie della ricchezza, dello status e del potere che vorremmo cambiare. (3) Il vangelo stesso contiene la chiave per un’appropriata contestualizzazione. Se cerchiamo di contestualizzare oltre i giusti limiti, dimostriamo che stiamo cercando troppo l’approvazione della cultura in cui avviene la nostra contestualizzazione; il che rivela una mancanza di fiducia nel vangelo. Se non contestualizziamo abbastanza, dimostriamo di essere troppo attaccati alle consuetudini della nostra subcultura; il che rivela una mancanza di umiltà evangelica [cioè con riferimento al vangelo] e di amore per il prossimo.

(4) In quali sensi è unico il vangelo? Il vangelo dona ai cristiani umiltà e speranza, mansuetudine e coraggio, in un modo che è unico. Il vangelo biblico si distingue nettamente sia dalle religioni tradizionali sia dal secolarismo. Le religioni si basano sul principio: «Obbedisco, quindi sono accettato», ma il vangelo afferma: «Sono accettato tramite Cristo, quindi obbedisco». Dunque il vangelo si differenzia sia dall’irreligiosità sia dalla religiosità. Difatti si può cercare di essere il proprio “signore e salvatore” trasgredendo la legge di Dio, ma si può fare lo stesso anche osservando la legge allo scopo di guadagnarsi la salvezza.

L’irreligiosità e il secolarismo tendono a gonfiare un’“autostima” lusinghiera e acritica; la religiosità e il moralismo abbattono le persone con un senso di colpa causato da una condotta che è impossibile mantenere. Il vangelo, invece, ci umilia e ci valorizza al tempo stesso, in quanto, in Cristo, ognuno di noi è simultaneamente giusto ed ancora peccatore. Allo stesso tempo, noi siamo più imperfetti e peccaminosi di quanto osavamo credere, ma anche più amati e accettati di quanto osavamo sperare.

Il secolarismo tende a rendere le persone egoiste e individualiste. La religiosità e il moralismo tendono, in generale, a rendere le persone giuste ai propri occhi e tribali verso gli altri gruppi (questo perché pensano che la salvezza sia stata ottenuta per mezzo dei propri sforzi). Però il vangelo della grazia, centrato com’è su un uomo che muore per noi mentre eravamo ancora suoi nemici, rimuove l’egoismo e il moralismo inducendo le persone a servire gli altri sia per il bene temporale di tutti, in particolare i poveri, sia per la loro salvezza. Ci motiva a servire gli altri indipendentemente da quanto meritano, proprio come Cristo ha servito noi (Mc. 10:45).

Il secolarismo e la religiosità conformano le persone a norme di comportamento attraverso la paura (di conseguenze) e l’orgoglio (un desiderio di autoesaltazione). Il vangelo, invece, motiva le persone alla santità e al servizio in un altro modo: le motiva sia dalla riconoscente gioia per la grazia ricevuta sia dall’amore per la gloria di Dio per ciò che egli è in se stesso.

(5) Come è un ministero centrato sul vangelo?

È caratterizzato da:

a. Trasformazione nell’adorazione comunitaria. Il vangelo cambia il nostro rapporto con Dio: passiamo dall’ostilità o dal servilismo all’intimità e alla gioia. Perciò il cuore pulsante di un ministero centrato sul vangelo è l’adorazione e la preghiera intensa. Nell’adorazione comunitaria il popolo di Dio riceve una visone della dignità e della bellezza di Dio che trasforma le vite dei credenti, i quali rispondono offrendo a Dio le espressioni di lode di cui egli è degno. Al centro dell’adorazione comunitaria sta il ministero della Parola. La predicazione dovrebbe essere espositiva (spiegando il testo della Scrittura) e cristocentrica (facendo vedere come tutti i temi biblici trovano il loro punto culminante in Cristo e nella sua opera di salvezza). Il fine ultimo della predicazione non è semplicemente di insegnare, ma di guidare coloro che ascoltano ad un’adorazione, sia individuale che comunitaria, che li fortifica interiormente per fare la volontà di Dio. b. Efficacia evangelistica. Siccome il vangelo (a differenza del moralismo religioso) genera persone che non rigettano coloro che sono in disaccordo con loro, una chiesa veramente centrata sul vangelo dovrebbe essere formata da membri che si rivolgono con sensibilità alle speranze e alle aspirazioni delle persone, indirizzandole a Cristo e alla sua opera salvifica. Si tratta di una visione di una chiesa che cerca la conversione dei ricchi e dei poveri, dei colti e dei meno colti, di uomini e di donne, di anziani e di giovani, di sposati e di single, e di persone di tutte le razze. La speranza è quella di raggiungere sia chi è fortemente secolarizzato e ha abbracciato il postmodernismo sia coloro che sono più tradizionalisti e religiosi. In virtù del carattere attraente della sua comunità e dell’umiltà dei suoi membri, una chiesa centrata sul vangelo dovrebbe avere nel suo mezzo persone che sono in ricerca e che stanno cercando di comprendere il cristianesimo. Una chiesa centrata sul vangelo dovrebbe accogliere tali persone in centinaia di modi. Accoglierle significa non tanto farle “sentire a proprio agio”, quanto impegnarsi davvero per rendere comprensibile il messaggio del vangelo. Oltre a ciò, chiese centrate sul vangelo saranno inclini a fondare altre chiese, perché questo è uno dei mezzi più efficaci dell’evangelizzazione.

c. Una comunità contro-culturale. Siccome il vangelo rimuove sia la paura che l’orgoglio, all’interno della chiesa persone dovrebbero andare d’accordo che non potrebbero mai andare d’accordo al di fuori di essa. Siccome ci pone dinanzi un uomo che è morto per i suoi nemici, il vangelo crea rapporti di servizio piuttosto che di egoismo. Siccome il vangelo ci chiama alla santità, il popolo di Dio vive con amore legami di responsabilità e di disciplina reciproche. Per questo il vangelo crea una comunità umana, radicalmente diversa da qualsiasi società che gli sta intorno.

Per quanto riguarda il sesso, la chiesa dovrebbe evitare sia l’idoleggiamento del sesso proprio della società secolare sia la paura del sesso propria della società tradizionale. Noi proponiamo invece una comunità che così ama e così si prende cura in modo pratico dei suoi membri che la castità ha senso. Una tale chiesa insegna ai suoi membri a conformare la propria corporalità alla forma del vangelo: l’astinenza al di fuori di un matrimonio eterosessuale e la fedeltà e la gioia al suo interno.

Per quanto riguarda la famiglia, la chiesa dovrebbe affermare la bontà del matrimonio tra un uomo e una donna, chiamandoli a servire Dio riflettendo il suo amore pattizio in una relazione “finché morti non li separi” caratterizzata dalla lealtà, e insegnando ai loro figli le vie del Signore. Tuttavia, la chiesa afferma altresì la bontà di servire Cristo come persone single, sia per un tempo sia per tutta la vita. La chiesa dovrebbe sapersi prendere cura delle persone che soffrono a causa del degrado della nostra sessualità umana, essendo una comunità e famiglia compassionevole.

Per quanto riguarda il denaro, i membri di chiesa dovrebbero essere radicali nel condividere i propri beni gli uni con gli altri, affinché non ci sia «tra di loro nessun bisognoso» (Atti 4:34). Tale condivisione promuove anche una generosità radicale nell’impiego di tempo, soldi, relazioni personali, e spazio per favorire la giustizia sociale e per andare incontro ai bisogni dei poveri, degli oppressi, degli immigrati e di coloro che sono deboli sia economicamente che fisicamente.

Per quanto riguarda il potere, la chiesa è visibilmente impegnata nella condivisione del potere e nell’istaurazione di relazioni interpersonali tra razze, classi e generazioni che al di fuori del corpo di Cristo sono alienate. L’evidenza pratica di questo è che sempre di più le nostre chiese locali accolgono e abbracciano persone da tutte le razze e di tutte le culture. Ciascuna chiesa dovrebbe cercare di riflettere la diversità presente nella propria area geografica, sia nella composizione della congregazione sia nella sua conduzione.

d. Integrazione di fede e opere. La buona novella della Bibbia non riguarda solo il perdono individuale ma anche il rinnovamento di tutta la creazione. Dio pose l’umanità nel giardino per coltivare il mondo materiale per la gloria di Dio, e per il fiorire della natura e della comunità degli uomini. Lo Spirito di Dio non solo converte individui (p.e., Gv. 16:8), ma rinnova e coltiva la faccia della terra (p.e., Gen. 1:2; Sal. 104:30). Per questo motivo i cristiani glorificano Dio non solo tramite il ministero della Parola, ma anche attraverso le loro vocazioni di agricoltura, arte, affari, politica, studi: tutto fatto per la gloria di Dio e per l’incremento del bene comune. Sono troppi i cristiani che hanno imparato a isolare la propria fede dal modo in cui lavorano nella propria vocazione. Spesso il vangelo è visto come una via per trovare pace a livello individuale e non come il fondamento di una visione del mondo, ossia come un’interpretazione completa della realtà che informa tutto quello che facciamo. Nondimeno, noi abbiamo una visione per una chiesa che istruisce le persone a pensare alle implicazioni del vangelo per come svolgiamo lavori di muratura, di idraulica, d’informatica, l’impegno come infermieri, come essere cristiani nelle arti, negli affari, in politica, nel giornalismo, in attività di intrattenimento, e nell’impegno scientifico e accademico. Una tale chiesa non solo sosterrà l’impegno dei cristiani nella cultura, ma li aiuterà anche a svolgere i loro lavori in modo professionale, ricercando l’eccellenza ed essendo responsabili verso gli altri nei loro mestieri e nelle loro professioni. Quando, basandoci sulla nostra comprensione del vangelo, realizziamo ambienti di lavoro compassionevoli ma al contempo creativi e di alta qualità, facciamo un contributo nella potenza dello Spirito alla guarigione della creazione di Dio. Fa pure parte di quest’opera far vedere la gioia, la speranza e la verità cristiane nelle rappresentazioni artistiche. Facciamo tutto questo perché il vangelo di Dio ci conduce ad agire così, anche se riconosciamo che la restaurazione ultima di tutte le cose aspetta il ritorno personale e corporale del nostro Signore Gesù Cristo (Confessione di fede-[13]).

e. Praticare giustizia e misericordia. Dio ha creato sia l’anima sia il corpo, e la resurrezione di Gesù mostra che redimerà sia ciò che è spirituale sia ciò che è materiale. Perciò a Dio non solo interessa la salvezza delle anime ma anche il soccorso nei riguardi della povertà, la fame e l’ingiustizia. Il vangelo ci apre gli occhi al fatto che in ultima analisi tutta la nostra ricchezza (anche quella per la quale abbiamo lavorato sodo) è un dono immeritato da Dio. Pertanto la persona che non dà generosamente agli altri la sua ricchezza, non solo manca nel mostrare compassione, ma è anche ingiusta. Cristo ottiene la nostra salvezza perdendo, riceve potere abbassandosi e facendosi servo, e diventa ricco donando tutto quello che ha. Coloro che ricevono la sua salvezza non sono i forti e capaci, bensì quelli che ammettono di essere deboli e perduti. Non possiamo guardare al povero e all’oppresso e spietatamente dire loro di tirarsi fuori dai guai attingendo alle proprie risorse. Gesù non ci ha trattati in questo modo. Al posto della superiorità nei riguardi del povero il vangelo suscita in noi misericordia e compassione. Le chiese cristiane devono operare a favore della giustizia e della pace nelle loro comunità tramite il servizio, al contempo chiamando gli individui alla conversione e alla nuova nascita. Dobbiamo operare per il bene eterno e comune e far vedere a quelli intorno a noi che li amiamo in modo concreto, che essi credano o no come noi. L’indifferenza verso coloro che sono poveri e svantaggiati indica che non abbiamo in realtà capito che la nostra salvezza è per la sola grazia.

Conclusione

Il tipo di ministero che abbiamo delineato non è tanto comune. Ci sono molte chiese del tipo pragmaticamente “ultrasensibili-agli-ospiti” che aiutano molte persone a trovare Cristo. Ci sono molte chiese che cercano di essere culturalmente coinvolte tramite un impegno politico. C’è un movimento carismatico in rapida crescita che pone l’accento sulla gloriosa e appassionata adorazione comunitaria. Ci sono molte congregazioni molto attente al rigore dottrinale e alla purezza, che s’impegnano molto per separarsi dal mondo. Ci sono molte chiese con un impegno radicale nei riguardi dei poveri e degli emarginati.

Tuttavia, non vediamo abbastanza chiese locali che incarnino il pieno ed integrale equilibrio evangelico che abbiamo delineato qui. E sebbene per grazia di Dio ci sia un confortante numero di segnali positivi nella chiesa, non vediamo ancora un ampio movimento di questo tipo di ministero centrato sul vangelo. Crediamo che un tale equilibrio produrrà chiese che si qualificheranno per una predicazione teologicamente sostanziosa e avvincente, per un’evangelizzazione e un’apologetica dinamiche, e per una crescita che porterà anche alla fondazione di nuove chiese. Le chiese che abbiamo in mente promuoveranno il ravvedimento, il rinnovamento personale, e la santità di vita. Allo stesso tempo, e nelle stesse congregazioni, ci sarà un impegno nelle strutture sociali delle persone medie, e un impegno culturale nell’arte, negli affari, nella ricerca accademico-scientifica e nella politica. Ci saranno appelli per una comunità cristiana radicale in cui tutti i membri condividono ricchezze e risorse e creano uno spazio per i poveri e gli emarginati. Queste priorità saranno concatenate insieme e si fortificheranno a vicenda in ciascuna chiesa locale.

Cosa può far crescere un movimento di chiese centrate sul Vangelo? La risposta ultima è che Dio, per la sua gloria, deve mandare un risveglio in risposta alle preghiere ferventi, straordinarie e persistenti del suo popolo. Nondimeno, crediamo anche che ci siano dei passi penultimi da intraprendere. C’è una grande speranza se possiamo unirci sulla natura della verità, su come meglio leggere la Bibbia, sul nostro rapporto con la cultura, sui contenuti del vangelo, e sulla natura di un ministero centrato sul vangelo. Crediamo che impegnarci in tal senso ci spingerà di nuovo verso le Scritture, verso il Cristo delle Scritture, verso il vangelo di Cristo, e cominceremo a crescere nella nostra capacità, per la grazia di Dio, come chiese, di agire «secondo la verità del Vangelo» (Gal. 2:14). Ci vergogniamo dei nostri peccati e delle nostre mancanze, ma siamo anche oltremodo riconoscenti per il perdono ricevuto, e desiderosi di vedere di.