La gioia di Dio per suo Figlio

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English: The Pleasure of God in His Son

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Di John Piper su Gesù Cristo
Una parte della serie The Pleasures of God

Traduzione di Maria Giovanna Polito

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Matteo 17:5 Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto.

Introduzione

Iniziamo una nuova serie di messaggi questa mattina che ci conduce, se Dio vuole, fino alla domenica di Pasqua, 19 Aprile. Quindi, vorrei cominciare spiegando perché ho sviluppato questa serie.

Guardare significa diventare

Quando si tratta di capire cosa dovrebbe accadere nell’atto della preghiera, esistono diversi testi biblici, in particolare 2 Corinzi 3:18.

E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito.

Credo che questo testo ci insegni che uno dei modi in cui siamo progressivamente trasformati nell’immagine di Cristo è contemplando la sua gloria. “Noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine”. Il modo per diventare sempre più simili a Cristo è fissare lo sguardo sulla sua gloria e non perderla di vista.

Canticchiamo a bocca chiusa la musica che ascoltiamo. Parliamo come la gente che ci circonda. Facciamo uso delle cortesie dei nostri genitori. E tendiamo naturalmente a imitare le persone che ammiriamo. È lo stesso con Dio. Se concentriamo la nostra attenzione su di sui e non perdiamo di vista la sua gloria, saremo trasformati di gloria in gloria nella sua stessa immagine. Se gli adolescenti si pettinano come le start che ammirano, così i cristiani si comporteranno come il Dio che ammirano. In questa transazione spirituale, guardare non significa solo credere; guardare significa diventare.

La preghiera come rappresentazione della gloria di Dio

La lezione che ho imparato da tutto ciò riguardo alla preghiera è che, in larga misura, pregare deve essere la rappresentazione della gloria di Dio, perché lo scopo della preghiera è trasformare le persone nell’immagine di Dio. Credo che ciò si adatti all’opinione di Paolo sulla preghiera, perché appena 4 versetti dopo, in 2 Corinzi 4:4, descrive il contenuto della sua preghiera come “la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'immagine di Dio”. E due versetti dopo, al versetto 6, la descrive in maniera solo leggermente diversa come “la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo”.

Quindi, secondo Paolo, pregare è un mezzo per portare la luce nel cuore oscuro degli uomini e delle donne.

Al versetto 4, la luce è definita “luce del vangelo” e, al versetto 6, “luce della conoscenza”.

Al versetto 4, il vangelo è quello della gloria di Cristo e, al versetto 6, la conoscenza è quella della gloria di Dio. Quindi, in entrambi i versetti, la luce convogliata nel cuore è quella della gloria, di Cristo e di Dio.

Ma non si tratta di due glorie diverse. Al versetto 4, Paolo dice che si tratta della gloria di Cristo, che l’immagine di Dio. E al versetto 6 dice che la gloria di Dio rifulge nel volto di Gesù Cristo. Quindi, la luce convogliata dalla preghiera è una luce di gloria e si può definire questa gloria come la gloria di Cristo che è l’immagine di Dio o la gloria di Dio che rifulge alla perfezione in Cristo.

Pregare è la rappresentazione o la manifestazione o, ancora, la presentazione della gloria divina ai cuori degli uomini e delle donne (vedi 4:4-6), di modo che contemplando questa gloria si è trasformati nell’immagine del Signore di gloria in gloria (vedi 3:18).

Si sa che è vero grazie all’esperienza

Non si tratta di una costruzione artificiale o meramente intellettuale. È proprio quello che so essere vero grazie alla mia esperienza (come molti di voi!): guardare Dio per ciò che davvero è ha dimostrato più volte di essere la forza più potente e irresistibile che motiva la mia ricerca di santità e gioia in lui.

Voi ed io sappiamo per esperienza che il conflitto fondamentale dell’animo umano è tra due glorie: la gloria del mondo e tutti i brevi piaceri che può offrire contro la gloria di Dio e tutti gli eterni piaceri che può donare. Queste due glorie competono per la fedeltà, l’ammirazione e il diletto dei nostri cuori. E il ruolo della preghiera è quello di manifestare, descrivere, rappresentare e presentare la gloria di Dio in modo che la sua eccellenza e il suo valore superiore brillino nel vostro cuore affinché siate trasformati di gloria in gloria.

La sfida che affronta il pastore

Ciò significa che come pastore mi trovo costantemente di fronte alla domanda: come posso rappresentare al meglio la gloria di Dio di modo che il maggior numero di persone la veda e sia trasformata da essa? Quando mi sono posto questa domanda durante il ritiro di due settimane fa, ho trovato una nuova risposta.

Stavo rileggendo parte di The Life of God in the Soul of Man di Henry Scougal. Egli fa questo acuto commento: “Il valore e l’eccellenza di un’anima devono essere misurati dall’oggetto del suo amore” (p. 62). Mi parve verissimo. E pensai che se è vero per l’uomo, come voleva dire Scougal, di sicuro è vero anche per Dio: “Il valore e l’eccellenza dell’anima DI DIO devono essere misurati dall’oggetto del suo amore”.

Allora ho esaminato le Scritture per diversi giorni in cerca di tutti quei brani che ci dicono cosa Dio ama, in cosa si rallegra, si compiace, si allieta e cosa fa volentieri. Il risultato è uno schema di preghiera costituito da 13 messaggi intitolati le gioie di Dio.

È la mia preghiera e spero che diventi la vostra preghiera, così che guardando gli oggetti della gioia di Dio, vedrete l’eccellenza e il valore della sua anima; e vedendo l’eccellenza e il valore della sua anima, vedrete la sua gloria; e vedendo la sua gloria, sarete trasformati di gloria in gloria nella sua stessa immagine; ed essendo trasformati nella sua stessa immagine, affronterete questa città e le persone del mondo che non abbiamo ancora raggiunto con una testimonianza vivente di un magnifico e irresistibile Salvatore. Voglia il Signore mandarci una rinascita di amore, santità e potenza mentre lo contempliamo e lo preghiamo con fervore nelle prossime 13 settimane.

Esposizione

Nel rappresentare il valore dell’anima di Dio nell’oggetto del suo amore dobbiamo partire dall’inizio. La prima e più importante cosa da dire circa le gioie di Dio è che si compiace di suo Figlio. Cercherò di spiegare questa verità in cinque affermazioni.

1. Dio si compiace di suo Figlio.

In Matteo 17, Gesù conduce Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte. Una volta soli accade una cosa del tutto straordinaria. All’improvviso, Dio dà a Gesù le sembianze della gloria. Versetto 2: “la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce”. Poi, al versetto 5, una nuvola luminosa li copre con la sua ombra e Dio parla dalla nuvola: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”.

Innanzitutto, Dio dà ai discepoli una rapida visione della vera gloria divina di Gesù. Ecco cosa dice Pietro in 2 Pietro 1:17: “[Cristo] ricevette da Dio Padre onore e gloria”. Poi, Dio rivela il suo cuore per il Figlio e dice due cose: “Amo mio figlio” (“Questo è il mio Figlio diletto”) e “mi compiaccio in mio Figlio” (“nel quale mi sono compiaciuto”).

Lo dice anche in un’altra occasione: al battesimo di Gesù, quando lo Spirito Santo discende e consacra Gesù per il suo ministero, rappresentando l’amore e il supporto del Padre: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto”.

E, nel vangelo di Giovanni, Gesù parla diverse volte dell’amore del Padre per lui: ad esempio, Giovanni 3:35: “Il Padre ama il Figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano”. Giovanni 5:20: “Il Padre ama il Figlio, e gli mostra tutto quello che egli fa”.

(Vedi anche Matteo 12:18 dove Matteo cita Isaia 42:1 con riferimento a Gesù: “Ecco il mio servitore che ho scelto; il mio diletto, in cui l'anima mia si è compiaciuta”. La parola ebraica di “compiaciuta” è ratsah e significa “provare gioia”).

Quindi la nostra prima affermazione è che Dio Padre ama il Figlio, non con parca e sacrificale pietà, ma con l’amore per la gioia e il piacere. Egli si compiace in suo Figlio. La sua anima si compiace in suo Figlio! Quando guarda suo Figlio, si rallegra e ammira, ama, apprezza e gusta ciò che vede.

2. Il Figlio di Dio ha la pienezza della deità.

Questa verità ci tratterrà dal commettere un errore sulla prima. Si potrebbe essere d’accordo con l’affermazione che Dio si compiace di suo Figlio, ma commettere l’errore di credere che il Figlio sia semplicemente un uomo straordinariamente santo che il Padre ha scelto come suo Figlio perché lo compiaceva così tanto.

Ma Colossesi 2:9 ci dà un diverso punto di vista sulle cose: “In lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità”. Il Figlio di Dio non è semplicemente un uomo scelto. Ha la pienezza della deità dentro di sé.

Poi Colossesi 1:19 mette in relazione questo con la gioia di Dio: “Tutta la pienezza [della deità] si compiacque di abitare in lui”. Oppure si potrebbe dire (con la Nuova Versione Internazionale): “Al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza”. In altre parole, per Dio è stato un piacere farlo. Dio non ha cercato nel mondo un uomo che avrebbe qualificato per il suo diletto e poi scelto come suo Figlio. Piuttosto Dio stesso ha preso l’iniziativa nell’accordare la sua pienezza a un uomo nell’atto dell’incarnazione. Oppure potremmo dire che ha preso l’iniziativa nel rivestire la pienezza della sua deità di natura umana. E Colossesi 1:19 dice che si compiacque di farlo! È stato per lui un piacere e una gioia.

Potremmo essere propensi a dire che Dio non ha trovato un Figlio che gli piacesse, ma ha generato un Figlio che lo compiace. Ma anche questo sarebbe molto fuorviante, perché questa pienezza della deità, che ora abita corporalmente (Colossesi 2:9) in Cristo, già esisteva in forma personale prima che assumesse la natura umana in Gesù. Ciò ci spinge ulteriormente nell’essenza divina e all’affermazione 3.

3. Il Figlio nel quale Dio si compiace è l’immagine e il riflesso eterno di Dio ed è quindi Dio stesso.

Qui, in Colossesi 1:15, Paolo dice:

Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura [cioè l’unico che ha lo stato elevato della figliolanza divina su tutto il creato, come mostra la frase seguente]; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra.

Il Figlio è l’immagine del Padre. Cosa significa? Prima di dirlo, esaminiamo qualche altra designazione simile.

In Ebrei 1:3 si legge riguardo al Figlio:

Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza.

In Filippesi 2:6, Paolo dice:

Pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo.

Quindi, il Figlio nel quale Dio si compiace è la sua stessa immagine; è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza; è nella sua stessa forma ed è uguale a Dio.

Dunque non dovremmo stupirci quando l’apostolo Giovanni, in Giovanni 1:1, dice:

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio.

Allora sarebbe del tutto fuorviante dire che il Figlio nel quale Dio si compiace è stato generato o creato all’atto dell’incarnazione o in qualsiasi altro momento. “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”. Fin da quando esiste Dio, esiste la Parola di Dio, il Figlio di Dio, che assume una natura umana in Gesù Cristo.

Ora possiamo avere un’idea migliore di ciò che la Bibbia intende quando lo definisce l’immagine o lo splendore o l’impronta o la forma di Dio che è uguale a Dio.

Dal passato eterno, la sola realtà che è sempre esistita è Dio. Si tratta di un grande mistero, perché è difficile per noi pensare che Dio non ha assolutamente avuto un inizio ed esiste semplicemente da sempre senza che nessuno o niente l’abbia generato, solo la realtà assoluta che ognuno di noi deve, volente o nolente, ammettere.

La Bibbia ci insegna che questo Dio eterno ha sempre avuto:

Ci troviamo qui al limite dell’ineffabile, ma forse possiamo osare dire questo: da quando Dio è Dio, è cosciente di sé e l’immagine che ha di sé è così perfetta, completa e piena da essere la riproduzione (o causa) vivente e personale di sé. E questa immagine o riflesso o forma vivente e personale di Dio è Dio, cioè Dio Figlio. E dunque Dio Figlio è co-eterno con Dio Padre e uguale in essenza e gloria.

4. La gioia di Dio per suo Figlio è la gioia di sé.

Poiché il Figlio è l’immagine di Dio, il riflesso di Dio, l’impronta di Dio e la forma di Dio, uguale a Dio e in realtà E’ Dio, allora il compiacimento di Dio in suo Figlio è il compiacimento di sé. Dunque, la gioia originale, primitiva, più profonda, fondamentale di Dio è la gioia che ha per le sue perfezioni che vede riflesse in suo Figlio. Ama il Figlio, si compiace di lui e se ne rallegra perché il Figlio è Dio stesso.

A primo acchito, sembra vanità e ha l’aria di presunzione, sufficienza ed egoismo, perché è questo che significherebbe se uno chiunque di noi trovasse la sua gioia primaria e più profonda guardando se stesso allo specchio. Sarebbe vanitoso, presuntuoso, soddisfatto di sé ed egoista.

Ma perché? Perché siamo stati creati per qualcosa di infinitamente migliore, superiore, più grande e più profondo dell’auto-contemplazione. Cosa? La contemplazione e la gioia di Dio! Qualsiasi cosa al di là di ciò sarebbe idolatria. Dio è l’essere più glorioso. Non amarlo e non compiacersi in lui è una grande offesa al suo valore.

Ma vale lo stesso per Dio. In che modo non offenderebbe Dio che è infinitamente bello e glorioso? In che modo non commetterebbe idolatria? Esiste un’unica risposta possibile: Dio deve amare e compiacersi della sua bellezza e perfezione sopra tutte le cose. Per noi, fare questo di fronte allo specchio rappresenta l’essenza della vanità; per Dio, farlo di fronte a suo Figlio rappresenta l’essenza della giustizia.

L’essenza della giustizia non è forse mossa dal perfetto compiacimento in ciò che è perfettamente glorioso? E il contrario della giustizia non è forse quando diamo i nostri affetti più grandi alle cose piccole o insignificanti?

E quindi la giustizia di Dio è l’infinito zelo, gioia e piacere che ha per il suo valore e la sua gloria. E se mai dovesse agire contrariamente a questa eterna passione per le sue perfezioni, sarebbe ingiusto; sarebbe un idolatra.

Qua sta il più grande ostacolo alla nostra salvezza: perché mai un Dio così giusto darebbe il suo affetto a dei peccatori come noi? Ma qua sta anche il vero fondamento della nostra salvezza, perché è proprio il rispetto infinito che il Padre ha per suo Figlio che rende possibile per me, debole peccatore, essere amato e accettato nel Figlio, perché nella sua morte ha riparato a tutte le offese e a tutti i torti che ho fatto alla gloria del Padre attraverso il mio peccato.

Lo vedremo ancora in queste prossime settimane, come l’infinita gioia del Padre per le sue perfezioni sia la fonte della nostra redenzione, speranza e gioia eterna. Oggi è solo l’inizio.

Concludo con la quinta affermazione e l’applicazione finale. Se Scougal ha ragione, che il valore e l’eccellenza di un’anima si misurano dall’oggetto (e, aggiungerei, dall’intensità) del suo amore, allora…

5. Dio è il più eccellente e degno di tutti gli esseri.

Perché? Perché ha amato suo Figlio, l’immagine della sua gloria, con infinita e perfetta forza da tutta l’eternità. Come sono gloriosi e felici il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’amore che scorre tra loro da tutta l’eternità!

Inchinatevi dinanzi a questo grande Dio! E allontaniamoci da tutti i risentimenti banali, i piaceri fugaci e le insignificanti ricerche della vita e prendiamo parte alla contentezza che Dio ha per l’immagine delle sue perfezioni, cioè suo Figlio. Preghiamo:

Dio infinito, eterno e giusto, confessiamo di averti spesso sminuito ed esaltato noi stessi al centro dei tuoi affetti a cui tu solo appartieni nella persona di tuo Figlio. Ci pentiamo, allontaniamo da noi la presunzione e con ammirazione guardiamo alla tua eterna e indipendente felicità nella confraternita della Trinità. E la nostra preghiera, nelle parole di tuo Figlio (Giovanni 17:26) è che l’amore con cui tu ami lui possa essere in noi e lui in noi, di modo che potremo entrare nella confraternita della gioia e in quell’oceano d’amore per sempre. Amen.