Il sangue dell’agnello

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English: The Blood of the Lamb

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Di Gordon Wenham su La morte di Cristo
Una parte della serie Tabletalk

Traduzione di Paola Mastrorilli

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“Senza spargimento di sangue non c’è perdono dei peccati”, recita l’epistola agli Ebrei (9:22). La maggior parte di quell’epistola è volta a mostrare come Cristo adempisse le speranze e le aspirazioni dell’Antico Testamento, soprattutto a proposito del sistema sacrificale dell’antico Israele. Ma per i lettori moderni, che non hanno mai assistito a un sacrificio o che ragionano con categorie diverse da quelli dell’Antico Testamento, tutto ciò è quanto mai incomprensibile: cosa centra l’uccisione degli animali con il perdono dei peccati?

L’argomento viene illustrato ampiamente nel libro del Levitico, che esordisce con una lunga descrizione dei vari tipi di sacrificio e dei loro obbiettivi (capitoli 1-7). Tuttavia dobbiamo risalire più indietro nel tempo per comprendere il Levitico e il concetto di sacrificio su cui si basa.

In Genesi 18, leggiamo che Abramo un giorno ricevette la visita di tre uomini. Non aveva idea di chi fossero, ma essendo un ospite perfetto, organizzò un magnifico banchetto in loro onore. Sua moglie Sara preparò del pane fresco, mentre lui offrì un vitello giovane e tenero, che fece uccidere e cucinare dai suoi servitori per i tre visitatori. Non si fa accenno al vino, ma sappiamo che quando era disponibile questo veniva sempre offerto agli ospiti importanti. In seguito Abramo scoprì che i suoi visitatori non erano altri che il Signore e due angeli!

Sebbene questo episodio non possa considerarsi un sacrificio, ci consente di capirne le dinamiche di base. Durante un sacrificio, Dio era l’ospite più importante: si onorava la Sua presenza offrendogli prodotti quali carne, pane e vino che venivano serviti solo in occasioni speciali. Il consumo di carne era un lusso piuttosto raro ai tempi dell’Antico Testamento e indubbiamente anche il vino era riservato alle grandi occasioni.

Se i vicini dell’antico Israele consideravano i sacrifici un pasto per gli dèi, l’Antico Testamento respingeva questa idea. È Dio che procura il cibo all’uomo (Genesi 1:29), non il contrario. Il Salmo 50:10-12 chiarisce bene questo concetto:


Perciocché mie sono tutte le bestie delle selve;
Mio è tutto il bestiame che è in mille monti. [...]
Se io avessi fame, io non te lo direi;
perciocché il mondo, e tutto quello ch’è in esso, è mio.


Perciò qual era il senso di queste grandi feste dinanzi al tabernacolo e in seguito all’interno del tempio? I primi sacrifici della Bibbia sono quelli offerti da Caino e Abele, menzionati subito dopo l’espulsione di Adamo ed Eva dai giardini dell’Eden, dove la coppia aveva goduto del piacere di camminare a fianco di Dio nel fresco del giorno. Cacciati dal giardino, furono privati dell’intimità privilegiata con Dio. Questa storia sembra quindi suggerire che una delle ragioni del sacrificio sia di rinnovare l’unione tra l’uomo e Dio.

A patto che venga offerto con lo spirito giusto. Caino non offrì che pochi frutti del suolo, mentre Abele “offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso” (Genesi 4:4), ovvero le parti più pregiate dei suoi animali migliori. Dio accettò l’ultimo ma non il primo. Qui cogliamo una delle caratteristiche principali del sacrificio: gli animali dovevano essere giovani e in salute, non vecchi e malridotti. L’agnello pasquale doveva essere perfetto e avere l’età di un anno. Le leggi nel Levitico sottolineano ripetutamente che gli animali usati dovevano essere “perfetti”. La storia di Caino e Abele mostra le conseguenze dell’ignorare questo aspetto: “Non verranno accettati” (Levitico 22:25; vd. anche 19:7, 22:20).

Dopo la caduta, il mondo fu divorato dal peccato, soprattutto omicidi e violenza. Dio lamenta che il peccato è innato nell’uomo: “Ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male” (Genesi 6:5). “Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza.” (6:11). Perciò Dio mandò il diluvio per spazzare via il peccato ed edificare con Noè, l’unico “uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei” (6:9), una nuova umanità.

La prima cosa che fece Noè quando finalmente uscì dall’arca fu di costruire un altare e offrire un sacrificio. Si potrebbe ipotizzare che lo fece come ringraziamento per essere stato salvato dalla distruzione, ma il testo indica che ottenne molto di più: “E l’ETERNO sentì un odore soave; così l’ETERNO disse in cuor suo: ‘Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, perché i disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua fanciullezza’” (8:21). In altre parole, nonostante la natura peccatrice dell’uomo non sia cambiata (vd. 6:9), l’atteggiamento di Dio nei confronti del peccato è che non punirà mai più il mondo con un diluvio. Perché? Grazie al profumo gradevole dei sacrifici offerti da Noè (8:21). Secondo il versetto 8 della Genesi, quindi, il sacrificio smorza la rabbia di Dio per il peccato umano. Che Dio ritenga l’odore dell’animale sacrificale piacevole è un tema ricorrente in Levitico 1-7.

Ma come mai il sacrificio animale è così efficace nel placare la Sua ira? Il racconto dell’offerta di Isacco da parte di Abramo ci fornisce qualche chiarimento in merito. Genesi 22 narra di come Dio mise alla prova Abramo chiedendogli di sacrificare il suo bene più prezioso, ovvero il suo unico figlio Isacco. Abramo non sapeva che si trattava di una prova e, anzi, era convinto che fosse una richiesta terribilmente seria. Così proprio all’ultimo minuto, quando stava per tagliare la gola di Isacco, l’angelo del SIGNORE gli disse di fermarsi: “Poiché ora so che tu temi Dio” (22:12). Allora Abramo sollevò gli occhi, vide un ariete e l’offrì al posto di Isacco.

Questa storia mostra che se si è disposti alla totale obbedienza a Dio, Egli accetterà l’offerta di un animale al posto del fedele. Isacco era il futuro di Abramo, e Abramo era disposto a donarlo al Signore, eppure Lui si accontentò di un ariete. Qui viene illustrata la dottrina dell’espiazione sostitutiva, ancora più chiara nelle leggi del Levitico, dove una delle caratteristiche principali di ogni sacrificio è l’apposizione della mano del devoto sulla testa dell’animale. Questa azione indica che l'animale si sostituisce al fedele. Il fedele si dona completamente a Dio identificandosi con l’animale e l’animale muore al suo posto.

In Levitico 1-7, vengono descritti quattro differenti tipi di sacrifici animali, ponendo grande importanza su come svolgerli. Ora concentriamoci sulle caratteristiche che li differenziano uno dall’altro. L’olocausto (Levitico 1) era l’unico sacrificio in cui l’intero animale veniva bruciato sull’altare, a simboleggiare la completa consacrazione del fedele al servizio di Dio. Allo stesso tempo, in questo tipo di sacrificio l’animale svolgeva l’espiazione (Levitico 1:4) al posto del fedele. “Fare l’espiazione” significa più esattamente “pagare un riscatto”, una frase che ricorre in altri punti della Legge, dove un colpevole che si era guadagnato la pena di morte poteva salvarsi con il risarcimento dei danni (ad esempio, Esodo 21:30).

L’offerta di pace (Levitico 3) era probabilmente uno dei sacrifici più popolari dell’Antico Testamento, poiché era l’unico in cui il fedele che donava l’animale ne riceveva una parte (solitamente, solo i sacerdoti consumavano carne). L’offerta di pace poteva avvenire spontaneamente come ringraziamento a Dio, ma anche quando si faceva un voto rivolgendogli una preghiera o quando questa veniva esaudita.

Il sacrificio espiatorio (Levitico 4) era un tipo particolare di sacrificio, poiché parte del sangue dell’animale veniva versato sull'altare o asperso all’interno del tabernacolo o del tempio. Questo sangue purificava il tabernacolo dal peccato. Il peccato non solo rende una persona colpevole agli occhi del Signore o ne suscita l’ira, ma inquina i luoghi e le persone, che perciò diventano inadeguati a fargli da dimora. Versando il sangue sull’altare o aspergendolo all’interno del tempio, questi oggetti venivano purificati. Allo stesso tempo, il colpevole che si era macchiato del peccato veniva perdonato e purificato. Questa purificazione consentiva al Signore di entrare nuovamente nel tempio e dimorare nel fedele.

Alla fine, vi era il sacrificio di riparazione (Levitico 5:14-6:7), secondo il quale alcune azioni ci rendono debitori nei confronti di Dio. Questi peccati possono essere espiati solo con il sacrificio di un montone pregiato. Descritto relativamente in modo conciso nel Levitico, questo sacrificio assume grande importanza in Isaia 53, dove il servo sofferente viene chiamato “colui che offre la colpa” (versetto 10; vd. la versione inglese, “colui che offrirà se stesso per l’espiazione”), colui che soffre per i nostri delitti (versetti 5-6). Poiché questo capitolo descrive più approfonditamente il ruolo espiatorio di Cristo, è centrale per la comprensione della morte di Gesù nel Nuovo Testamento.

Nel Nuovo Testamento, l’immagine del sacrificio permea tutta l’interpretazione della croce. Recitando: “Ecco l’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo” (Giovanni 1:29), Giovanni considerava Cristo come il perfetto agnello pasquale, un’immagine ripresa anche da Paolo quando parla di “Cristo, il nostro agnello pasquale" (1 Corinzi 5:7). Gesù è anche l’olocausto supremo, un sacrificio superiore a Isacco, un’idea cui si allude in passaggi noti, come Giovanni 3:16 e Romani 8:32: “Colui che non ha risparmiato il suo proprio Figliuolo, ma l’ha dato per tutti noi”. Marco 10:45 descrive il Figlio dell’Uomo come l’ultimo servo, colui che ha dato “la sua vita in riscatto per molti”. 1 Giovanni 1:17 riprende l’immagine del sacrificio espiatorio quando dice che “il sangue di Gesù, Figlio di Dio, ci purifica da ogni peccato”. Per l’epistola agli Ebrei Gesù è il Sacerdote Supremo, che con la Sua morte raggiunge tutti gli obbiettivi insiti nel sistema sacrificale dell’Antico Testamento (vd. Ebrei 9:1-14).

Infine, va osservato che la morte di Cristo non esaurisce il significato del sistema sacrificale per il cristiano. Noi siamo tenuti a seguire le Sue orme e a condividere la Sua sofferenza (1 Pietro 2:21-24). Perciò siamo anche incoraggiati “a offrire i nostri corpi come sacrificio vivente” (Romani 12:1). Paolo, parlando della sua morte, la paragona all’essere “versato come libagione”, alla stregua del vino che veniva versato sull’altare in occasione di ogni sacrificio animale (vd. anche Filippesi 2:17; 2 Timoteo 4:6). Per questo le antiche espressioni di culto dovrebbero ispirare ancor oggi la nostra consacrazione.