Il più piccolo degli Apostoli
Da Libri e Sermoni Biblici.
Di Jerry Bridges
su Figure Bibliche
Una parte della serie A Pastor's Perspective
Traduzione di Francesca Macilletti
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Ci sono circa 26 diversi tratti caratteriali cristiani insegnati, attraverso precetti ed esempi, nel Nuovo Testamento. Tre di questi sono insegnati più spesso rispetto agli altri messi insieme e sono: confidare in Dio (invece di essere ansiosi o timorosi), amore e umiltà. Visto che alcuni dei rimanenti – compassione, gentilezza, dolcezza e pazienza – nascono dall'amore e dall'umiltà, possiamo imparare molto riguardo il carattere dell'apostolo Paolo limitando il nostro studio a questi tre tratti.
Per prima cosa, parlando della fiducia di Paolo in Dio, ricordiamo che è lui colui il quale scrisse alla chiesa dei Filippesi le famose parole: “Non siate ansiosi riguardo a niente, ma in ogni circostanza, attraverso preghiere, suppliche e ringraziamenti, lasciate che le vostre richieste siano presentate a Dio” (Fil. 4,6). Non c'è dubbio che Paolo avesse un'ampia opportunità di mettere in pratica ciò che predicava nel bel mezzo delle incredibili difficoltà che sopportò durante la sua opera apostolica. Infatti, Paolo scrisse le parole presenti in Filippesi 4,6 dalla sua prigionia a Roma. Tuttavia, un primo esempio della sua fiducia in Dio avvenne qualche anno prima di questo scritto proprio nella città di Filippi.
Come risultato della predicazione del Vangelo, Paolo e Sila furono picchiati e gettati in prigione (Atti 16, 16-40). Per molti di noi, questo susseguirsi di eventi avrebbe probabilmente creato un alto livello di ansia, ma non per Paolo e Sila. Al contrario leggiamo: “Intorno a mezzanotte Paolo e Sila pregavano e cantavano inni al Signore” (v. 25).
Non sappiamo nulla riguardo al contenuto delle loro preghiere, ma il tenore della narrazione suggerisce che stessero ringraziando Dio per averli reputati degni di soffrire per amore di Cristo e chiedendoGli di usare le loro circostanze per promuovere il Vangelo.
Come possiamo considerare la fiducia di Paolo in Dio a la gioia nella sua situazione perfino nelle carceri di Filippi e Roma? Diversi anni prima, scrisse ai credenti di Roma: “E sappiamo che per coloro i quali amano Dio tutto concorre per il bene, per quelli che sono chiamati secondo il Suo disegno” (Rom. 8,28). Paolo aveva una assoluta fiducia nella sovranità e bontà di Dio. Conosceva l'insegnamento di Gesù secondo il quale "non un solo passero può cadere a terra senza il volere di Dio e non un solo passero è da Lui dimenticato" (Matteo 10,29; Luca 12,6). Lui ci credeva e lo accettò dal profondo del suo essere. La fiducia di Paolo in Dio era ancorata nella sua credenza circa la sovranità e la bontà del Padre.
La visione teologica di Paolo era anche la base per la sua umiltà. Lui non cominciò la sua vita adulta come un umile seguace di Gesù. Piuttosto, la prima volta che lo incontriamo, nel Libro degli Atti, lo troviamo essere un orgoglioso, bigotto Fariseo, che devasta la chiesa e trascina uomini e donne in prigione. Sebbene stiamo osservando il carattere di Paolo, non possiamo ignorare la sua personalità di base, che era ovviamente forte e potente. Il suo traumatico incontro con il Cristo risorto sulla strada si Damasco non ha cambiato questo. Piuttosto, lo vediamo predicare Gesù arditamente nelle sinagoghe di Damasco. Anni dopo lo troviamo fare i conti con decisione con i problemi morali nella chiesa dei Corinzi e inviare maledizioni sui falsi maestri in Galazia che stavano sovvertendo il Vangelo. Chiaramente, Paolo non perse la sua forte e possente personalità che aveva quando era un Fariseo. Nonostante ciò, comunque, la sua vita come apostolo fu chiaramente segnata da una dilagante umiltà sia verso Dio che verso gli uomini.
L'umiltà di Paolo è mostrata più chiaramente nella sua autovalutazione. Scrivendo ai Corinzi nell'anno 55 d.C., fa riferimento a se stesso come “il più piccolo degli apostoli, indegno di essere chiamato tale in quanto ho perseguitato la Chiesa di Dio” (1 Cor. 15,9). Agli Efesini, circa cinque anni dopo, fa riferimento a se stesso come all'ultimo fra tutti i santi (Ef. 3,8). Quasi al termine della sua vita, si considera il primo dei peccatori (1 Tm. 1,15). Questo è un bel progresso della sua auto-consapevolezza: da un orgoglioso, presuntuoso Fariseo al primo dei peccatori. Solo una persona dalla genuina umiltà avrebbe descritto se stesso con questi termini.
Cosa trasformò un fiero Fariseo in un umile apostolo di Cristo? Fu la consapevolezza di Paolo della grazia di Dio. Capì che la grazia di Dio era più che un favore immeritato. Si considerava non solo immeritevole, ma ingiusto. Sapeva dentro di sé che, senza Cristo, meritava pienamente l'ira di Dio. Invece, fu fatto araldo del messaggio che una volta cercò di distruggere. Questo è il perché egli continuò la sua valutazione come il più piccolo degli apostoli con l'affermazione “ma, per grazia di Dio, sono ciò che sono ” (1 Cor. 15,10). Questo è perché avrebbe detto; “A me, anche se sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia” (Ef. 3,8). Lui si considerava come il principale esempio della grazia di Dio e questa sua visione teologica generò la sua umiltà.
E per quanto riguarda l'amore nella vita di Paolo? Ricordando ancora la sua forte e potente personalità, la troviamo addolcita dall'amore? L'uomo che ha scritto la bellissima descrizione dell'amore nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor. 13) ha mostrato questi tratti nella propria vita? Approfondimenti eseguiti sulle sue quattro lettere alle diverse chiese ci mostrano che fu così.
Ai credenti Filippesi Paolo scrisse: “Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù” (Fil. 1,8). E ai Tessalonicesi scrisse: “Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre nutre e ha cura delle proprie creature” (1Ts. 2,7). Troviamo, infatti, un meraviglioso paradosso in Paolo – una forte personalità combinata a un più dolce tratto di affetto e dolcezza.
Ovviamente, quelle di Filippi e Tessalonica erano due delle “migliori” comunità di Paolo. Potremmo dire che fu abbastanza facile per lui amare queste comunità che lo amarono a loro volta. Ma cosa dire riguardo alle comunità problematiche – dei Corinzi e Galati – che furono causa di così tanto dolore per Paolo? Non c'è dubbio che lui fosse piuttosto severo nelle sue lettere indirizzate a entrambe le comunità. Ai Corinzi scrisse: “Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, non per rattristarvi ma per farvi conoscere l'immenso affetto che ho per voi” (2 Cor. 2,4). E ai Galati scrisse: “Figli miei, i quali partorisco di nuovo nel dolore finché Cristo non sia formato in voi” (Gal. 4,19). Furono il profondo amore di Paolo per queste comunità e l'angoscia del suo cuore a indurlo a trattare così severamente con loro. È quello che noi chiameremmo oggi “amore duro”. Ma in verità che questo tipo di amore è quello più costoso.
Quale era la radice del profondo amore di Paolo per le chiese? La sua profonda comprensione dell'amore di Dio nei suoi confronti. Paolo era così profondamente consapevole dell'amore di Cristo per lui che, in un certo senso, egli fu costretto a vivere per Cristo e amare al Suo stesso modo. Amava i Corinzi e i Galati perché Cristo amava lui. Quindi, notiamo ancora come il carattere nasca dalla visione teologica dell'individuo. Poiché la visione teologica di Paolo era fermamente radicata nell'amore di Cristo, il suo carattere rifletteva questo, permettendogli di amare gli altri come Cristo amava lui.