Gesù Cristo è un Paràclito per i peccatori

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Di John Piper su Gesù Cristo
Una parte della serie Let Us Walk in the Light: 1 John

Traduzione di Francesca Macilletti

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1 Giovanni 2,1-2

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Indice

Tre parti del testo

Il testo è composto da tre parti. Le potrei riassumere in questo modo:

  1. Non peccate.
  2. Non disperatevi quando peccate.
  3. Che Gesù non sia solo vostro.

Una continuazione della scorsa settimana

La scorsa settimana abbiamo visto il fondamento nel messaggio di Giovanni in 1,5 (Dio è luce), la sua applicazione in 1,6-7 (Camminate nella luce), e il suo chiarimento in 1,8-10 (Non dichiarate di essere perfetti; confessate i vostri peccati)

Il testo di oggi continua ad analizzare l'applicazione e il chiarimento del messaggio introdotti la scorsa settimana. L'applicazione dice: “Camminate nella luce”. Questo concetto viene ripreso nella prima metà del versetto 2,1: “Figlioli miei, ci scrivo queste cose perché non pecchiate”. Non peccate; camminate nella luce.

Il chiarimento dice: “Non dite di essere senza peccato; confessate i vostri peccati”. Questo concetto viene ripreso nella seconda metà del versetto 2,1: “Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto”. Non nascondete il vostro peccato, ma ammettetelo; avete un Paràclito capace di difendervi.

Successivamente, il versetto 2,2 descrive la base della difesa di Cristo e, in effetti, dice: “Che non sia solo vostra”. La base di questa difesa è la sua opera di espiazione (o propiziazione) sulla croce. “È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. Siccome la sua opera compiuta sulla croce non è soltanto per voi, non monopolizzatela. Condividetela, invece. Amate esattamente come voi siete stati amati.

Ora, prendiamo singolarmente in esame queste tre parti del testo e analizziamole.

1. NON PECCATE (2,1a)

“Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate”.

Osservate tre cose:

1.1 Il peccato è insubordinazione contro Dio.
1.2 Il peccato è una questione seria.
1.3 Le Scritture vincono il peccato.

1.1—Il peccato è insubordinazione contro Dio.

Quello che Giovanni non vuole, è che si pecchi. Quindi, abbiamo bisogno di una definizione di peccato. Che cos'è? 1 Giovanni 3,4 dona la più chiara definizione di peccato in tutto il libro. “Chiunque commette il peccato, commette anche l'iniquità, perché il peccato è l'iniquità”. Il peccato è iniquità. In altre parole, il peccato è il rifiuto dell'uomo a sottomettersi alla legge di Dio, cioè, alla Sua Parola. Questa è insubordinazione.

Quando la Parola di Dio dice “Quello che Dio ha unito, l'uomo non separi” e poi ci si divorzia, quello è peccato. Quando la Parola di Dio dice “Allontanate da voi ogni sorta di inganno” e poi si imbroglia nella dichiarazione dei redditi, quello è peccato. Quando Dio dice “Insegnate ai vostri figli i comandamenti del Signore” e poi non vi impegnate minimamente a insegnare loro le Scritture, quello è peccato.

Tra persone civilizzate, il peccato è solitamente discreto. È solitamente rivestito da recipienti attraenti di razionalizzazione. È non è solitamente considerato qualcosa di troppo serio. Non sono molte le persone che piangono per i loro peccati oggigiorno – anche se è ragionevole pensare che non c'è nulla di più malvagio e spaventoso quanto l'insubordinazione contro il nostro Creatore. Il che ci porta a considerare la verità che . . .

1.2—Il peccato è una questione seria.

In questo libro, possiamo trovare almeno quattro ragioni per cui il peccato debba essere preso sul serio – molto più seriamente di quanto non lo si faccia al giorno d'oggi.

1.2.1—Il peccato è una questione seria perché insulta la sofferenza di Cristo.

Secondo 3,8 “Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo”. Il motivo per cui Cristo è venuto nel mondo e ha sofferto è stato per distruggere il peccato. Paolo ha detto che Cristo è morto per purificare una sposa per sé stesso (Efesini 5,25-27). “Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tito 2,14)

Pertanto, ogni volta che pecchiamo, ci uniamo a coloro che definiscono la croce una follia. Se lo scopo della croce è la purezza della chiesa e la vittoria sul peccato, non possiamo onestamente considerarla sapienza di Dio quando pecchiamo. Il peccato dice a Cristo: “Io non considero la tua sofferenza come un incentivo sufficiente per tenermi alla lontana da questo atto. Potresti essere morto per impedirmi di fare questo, ma ho intenzione di farlo ugualmente”. Così, il peccato insulta la sofferenza di Cristo. E questo è molto grave.

1.2.2—Il peccato è una questione seria perché suggerisce che abbiamo in noi la natura di Satana anziché quella di Dio.

1 Giovanni 3,8 è molto chiaro su questo proposito: “Chi commette il peccato viene dal diavolo”. Il versetto 9 ci dona il contrario: “Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui”. Noi non prendiamo in considerazione questi versetti per implicare un perfezionismo che sarebbe in contraddizione con 1,8-10 e 2,1b. Viene fatto riferimento a una vita di peccato – il peccare è non odiato, non aggredito e troppo spesso indomabile.

Ma il minimo che potete dire da questi versetti è che il peccato è una questione molto seria in quanto si tratta del frutto non della natura di Dio in noi, ma della natura di Satana. Quando peccate, agite allo stesso modo di Satana.

Ci sono due melodie nel mondo – quella di Satana e quella di Cristo. Quando peccate, il vostro cuore è sintonizzato sulla melodia di Satana e la suonate alla sua stessa maniera. Ma quando agite secondo la fede, nell'obbedienza alla Parola di Dio, il vostro cuore è sintonizzato sulla melodia di Cristo e la suonate alla sua stessa maniera. Ed è una cosa molto seria quando vi rendete conto che il vostro cuore fischietta di continuo la melodia di Satana.

1.2.3—Il peccato è una questione seria in quanto mette in pericolo la nostra certezza della salvezza.

1 Giovanni 2,3-4 dice: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità”. Forse, uno dei motivi per cui il peccato è preso con tanta leggerezza al giorno d'oggi e per cui c'è così poco avvilimento tra il popolo di Dio, è che questa verità non è insegnata nella chiesa. Invece, alla gente viene insegnato che la certezza della salvezza non ha alcuna relazione con l'obbedienza a Dio. Ci viene insegnato che la fede salvifica è una cosa debole e impotente che non può garantire cambiamenti nella nostra vita e, quindi, guardare a quei cambiamenti come la prova della fede salvifica è sbagliato.

Se fosse così, bisognerebbe eliminare la prima lettera di Giovanni dalla Bibbia. Perché non importa quanto duramente ci provino, gli studiosi dei vangeli non possono fare in modo che significhi ciò. Capitolo 3, versetto 14 dice: “Noi sappiamo (ne abbiamo la certezza) che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.”. Non potete avere la certezza di essere passati dalla morte alla vita, se siete persone poco amorevoli. La persistenza nel peccato distrugge la certezza della salvezza.

Un intero ramo della teologia “evangelica” è venuto alla luce per offrire la certezza della salvezza a indifferenti persone disobbedienti che si dicono cristiane. E questo libro è stato scritto per spazzare via questa teologia. Il peccato è una questione seria perché mette in pericolo la nostra sicurezza. (Ne parleremo più approfonditamente la prossima settimana.)

1.2.4—Il peccato è una questione seria in quanto può portarci via la speranza.

Notate 1 Giovanni 5,16-17. Ho intenzione di tradurre questi versetti alla letteralmente in modo da poter vedere più chiaramente le loro implicazioni. “Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a coloro, cioè, il cui peccato non conduce alla morte. C'è infatti un peccato che conduce alla morte; non dico di pregare riguardo a questo peccato. Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte”.

Questi versetti sono una sintesi di tutti gli avvertimenti presenti in questo libro. Ci aiutano a evitare di commettere due errori. Uno potrebbe essere l'affermare che qualsiasi peccato abbiate commesso dopo la conversione, vi abbia guidati fuori del regno. Giovanni evita questo errore dicendo, all'inizio del versetto 16 e alla fine del verso 17: No, c'è un peccato che non conduce alla morte. Non tutti i peccati eliminano la speranza. Questo è quello che i versetti 1,8-10 e 2,1 tentano di chiarire.

Ma l'altro errore che Giovanni evita è l'affermare che nessuna quantità o tipo di peccato può allontanare un cristiano professante dalla speranza della salvezza. Giovanni evita questo errore dicendo, alla fine del versetto 5,16: “Il peccato non conduce alla morte”. Egli non dice nemmeno che dovremmo pregare per tale peccato. C'è un peccato che allontana una persona dalla speranza. C'è un'insubordinazione che diventa così forte da non poterla più genuinamente confessare come peccato e pentirsene.

Il perdono è offerto in 1,9 a tutti coloro che confessano i propri peccati. Ma c'è una profonda persistenza nel peccare che può portare all'incapacità di confessare, cioè, all'incapacità di vedere e percepire il vostro peccato allo stesso modo di Dio, impedendovi di odiarlo e fuggirlo. Si tratta di un punto di non ritorno nel peccare.

Quindi, Giovanni, mosso dal grande amore che prova per i suoi “figlioli”, scrive loro in modo che non pecchino – perché il peccato è una questione seria. Per queste ragioni:

1.3—Le Scritture vincono il peccato.

C'è un'altra implicazione sulla prima metà del versetto 2,1. Giovanni dice:”Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate”. L'implicazione è che Giovanni crede che questa lettera possa aiutarli a distoglierli dal peccare.

E, se può aiutare loro, può aiutare noi. Guardiamo ai versetti 4,5-6, la sorprendente dichiarazione su questo piccolo libro. Riguardo a quelli che negano Gesù, dice: “Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.”

Potreste pensare a una cosa più arrogante da dire?—Se la gente ascolta quello che dico, è da Dio, altrimenti è del mondo. Ciò che vi scrivo è la prova ultima dello spirito di verità e quello dell'errore. Questo è il culmine dell'arroganza—a meno che non sia vero!

Avete mai pensato che ogni volta che leggete questo libro, dovete fare una scelta? Dovete decidere se esso è l'ultima prova di chi è da Dio e di chi è del mondo, o se è stato scritto da un egoista arrogante. Giovanni non ci permette di essere spettatori della sua scrittura. Affronta il problema, sostenendo l'autorità definitiva: “Chiunque conosce Dio ascolta quello che scrivo, e chi non conosce Dio non ascolta quello che scrivo”. Quindi, o accettiamo questo libro come la parola di Dio, o lo consideriamo un insieme di visioni di un egocentrico squilibrato.

Non riesco a leggere questo libro e concludere che è il prodotto di una mente malata e arrogante. Io credo che si tratti della parola di Dio. E questo è tutta la spiegazione di cui ho bisogno, cioè, di come Giovanni può dichiarare che la sua scrittura può aiutarci a non commettere peccato. La parola di Dio è potente. La parola di Dio è creativa. È un martello che schiaccia la durezza della nostra insubordinazione. È la medicina che guarisce il cuore spezzato. Ed è chiaro che ci offre una guida e una speranza lungo il nostro cammino. Questo libro può vincere il peccato – se lo leggiamo, meditiamo su di esso, lo memorizziamo e lo utilizziamo nella nostra lotta di fede.

Questa è la continuazione di Giovanni nell'applicazione dei versetti 1,6-7. Non camminate nelle tenebre. Camminate nella luce così come Dio è nella luce. Cioè, non vivete una vita di peccato. Considerando che il peccato è un atto d'insubordinazione contro Dio, esso è una questione seria e queste esatte parole che vi scrivo ora possono aiutarvi a vincerlo.

2. NON DISPERATEVI QUANDO PECCATE (2,1b)

Successivamente Giovanni aggiunge: “Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre”. In altre parole, non disperatevi quando peccate. C'è speranza.

La prima domanda che potrebbe venirvi in mente è perché Giovanni direbbe questo se il suo scopo è quello di non farci peccare? È come se fosse riuscito a creare l'impressione della serietà del peccato che iniziamo a fuggire come dovremmo e poi la spazza via, dandoci una scusa per quando pecchiamo. Ma invece di porre domande sulla testimonianza dell'apostolo, dovremmo umiliarci e imparare da lui quello di cui la chiesa ha bisogno per fermare il peccato.

Quelli che fra di noi sono più deboli, avrebbero preferito che Giovanni non avesse detto, in 1,7: “Se camminiamo nella luce . . . il sangue di Gesù ci purifica”. Mentre, quelli fra noi più severi, avrebbero preferito non avesse detto, in 2,1: “Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre”. La persona debole potrebbe pensare che, quando Giovanni rende l'ininterrotta esperienza del perdono dipendente dal camminare nella luce, egli annulli il Vangelo e ci guidi verso la disperazione. La persona severa, invece, potrebbe pensare che, quando fa riferimento al Paràclito nella persona di Gesù Cristo, egli screditi il Vangelo e lo trasformi in una licenza.

Quindi, lasciamo che sia il debole che il severo imparino da Giovanni. È questo quello che fa Dio. Non si tratta di o-o. È piuttosto e-e. Dobbiamo camminare nella luce se vogliamo sperimentare la purificazione da parte di Gesù. E se pecchiamo, abbiamo realmente un Paràclito col Padre. Esistono sia peccati che portano alla morte, che quelli che non fanno ciò.

E il motivo per cui è possibile avere peccati che non portano alla morte è perché abbiamo un Paràclito col Padre, Gesù Cristo il giusto. Ma non abbiamo solo quello. Abbiamo bisogno di includere la prima metà del versetto 2 in modo da capire il perché non dobbiamo disperare. “È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati”. Per dirla in maniera più letterale: Lui è la propiziazione per i nostri peccati. Per vedere chiaramente la base della nostra speranza in quanto cristiani peccatori, dobbiamo chiedere: Cosa significa che Cristo è la propiziazione per i nostri peccati? E Come è possibile che Cristo sia un Paràclito per i peccatori?

2.1—Cosa significa che Cristo è la propiziazione per i nostri peccati?

La propiziazione è rimuovere l'ira di Dio contro di noi attraverso la morte di Gesù. Il problema ultimo a cui tutta l'umanità si trova di fronte è che l'ira onnipotente di Dio è contro di lei. La buona notizia è che c'è un modo per distoglierla da noi – e che è stato lo stesso Dio a crearlo.

Giovanni ha detto nel suo Vangelo (3,36): “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui”. In altre parole, a parte l'obbedienza al Figlio di Dio, la sua ira rimane il più grande problema che una persona possa avere. Secondo l'ultimo libro di Giovanni, questo porterà a tormenti eterni (Apocalisse 14,9-11). Ecco quanto seria è la questione del peccato per un Dio santo.

Ma ci sono buone notizie per il mondo. 1 Giovanni 4,10 dice che Dio ha creato un modo per propiziare (o rimuovere) la sua ira contro i peccatori. “In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Dio non è felice nel lasciare tutto il mondo soggetto alla sua ira. Né può spazzare il peccato sotto il tappeto del mondo. Pertanto, il suo amore e la sua giustizia cospirano per permettere ai peccatori di salvarsi e alla giustizia divina di essere vendicativa. La risposta è la morte di Gesù Cristo.

Notate che, in 1,7, quello è il “sangue di Gesù Cristo, suo Figlio [che] purifica da tutti i peccati”. Gesù rimuove l'ira di Dio morendo per noi. Egli diventa una maledizione per noi, come lo dice Paolo (Galati 3,13). “È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (Romani 3,25). Non c'è notizia più meravigliosa che quella di Cristo che attira contro sé l'ira di Dio in modo che i nostri peccati non ricadano su di noi. Questo è ciò che si intende quando si dice che Cristo è la propiziazione per i nostri peccati.

2.2—Come è possibile che Cristo sia un Paràclito per i peccatori?

Il versetto 1b dice: “Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto”. Ma qualcuno potrebbe chiedere: “Se nella morte di Cristo i nostri peccati sono stati perdonati, per quale motivo avremmo bisogno di un Paràclito dinanzi a Dio? Se Cristo ha attirato su di sé l'ira di Dio, perché avremmo bisogno che il Figlio di Dio sia il nostro difensore in paradiso?”

Ma questo è il modo sbagliato di porre la domanda. Dovremmo chiedere: “Siccome Cristo è morto per noi, ha propiziato l'ira di Dio, è risorto dai morti per mezzo della gloria del Padre e ora si trova dinanzi a Lui in paradiso, cosa è diventato per noi?” E non: “Perché è necessario che lui si trovi lì? Ma siccome è lì, come potremmo capire la sua opera odierna per noi in paradiso?”

E se mettete insieme i versetti 1 e 2, chiaramente la risposta è che Cristo è il nostro difensore e tutto ciò che sa è la sua propiziazione. Si trova dinanzi al Padre suo in cielo, e ogni volta che pecchiamo non compie una nuova propiziazione. Non muore ancora e ancora. Al contrario, utilizza quello che sa su di noi per farlo sapere al Giudice. Fotografie della corona di spine, la flagellazione, i soldati beffardi, le agonie della croce e il grido finale della vittoria: Tutto è compiuto.

La difesa di Cristo e la sua propiziazione fanno parte di una stessa opera salvifica, in quanto le informazioni su di noi di Cristo Paràclito coincidono con Cristo il propiziatore. Ciò che egli implora per noi in cielo sono gli effetti eterni della propria morte.

E Giovanni spiega che questo doppio ruolo di Cristo serve a non farci disperare quando cadiamo nel peccato. Non ci permettiamo di dire di essere senza peccato (1,8). Ma se non possiamo dichiarare di vivere senza peccare, allora l'unica cosa che ci trattiene dal disperare dinanzi a un Dio santo è la certezza di avere un Paràclito in cielo che perora la nostra causa non basandosi sulla nostra perfezione, ma sulla base della sua propiziazione.

Lo scopo di Giovanni è non farci peccare. La sua strategia per liberarci dal peccato è quella unica combinazione biblica di avvertimento e consolazione, minaccia e promessa, prudenza e incoraggiamento. Duro e tenero – proprio come il suo Maestro. Abbiamo bisogno che ci venga detto quanto pericoloso sia vivere nel peccato. E abbiamo bisogno di sentire l'indicibile buona novella di Cristo il nostro Paràclito che ha rimosso l'ira di Dio da quelli che confidano in lui. L'avvertimento ci protegge dalla presunzione e infonde vigilanza nel cammino cristiano. La consolazione ci protegge contro la disperazione e infonde il coraggio della speranza. E la speranza vigile in Dio è la forza che vince il peccato

3. CHE GESÙ NON SIA SOLO VOSTRO (2,2b)

La parola finale del testo è che non dobbiamo tenere questa consolazione solo per noi. “È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”.

Giovanni non intende dire che tutta l'ira di Dio contro i peccati di ogni persona nel mondo è stata propiziata in quanto, altrimenti, tutti sarebbero salvati. “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui” (Giovanni 3,36). L'ira di Dio è propiziata solo per quelli che obbediscono al Figlio Suo. (Romani 3,25)

Ciò che intende dire Giovanni si può meglio vedere se confrontiamo il parallelo più vicino a questo versetto nei suoi scritti, in particolare, Giovanni 11,52. Caifa predice la morte di Gesù in questo modo: “profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. O, come dice Gesù in Giovanni 10,15-16: “Do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”.

In altre parole, ci sono figli di Dio, o pecore, sparse per il mondo. Come dice Giovanni in Apocalisse 5,9, Cristo è caduto e attraverso il suo sangue ha riscattato gli uomini per Dio da ogni lingua, tribù, popolazione e nazione. “Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45). Egli non ha propiziato l'ira di Dio contro tutti, ma ha dato la propria vita per le pecore. Esse sono disperse per il mondo in ogni lingua, tribù, popolazione e nazione.

Nessuno che gode del perdono di Gesù può essere contento nel tenerlo tutto per sé. Non è la propiziazione solo per i nostri peccati. Ci sono altre pecore sparse per il mondo. Anche i loro peccati sono coperti. E l'ultimo comandamento di Gesù è stato: “Andate e fate discepoli in ogni popolo”.

In sintesi, il messaggio odierno di Giovanni per noi è: non peccate! È una cosa tremendamente e terribilmente seria. Ma se peccate, non disperate, perché il vostro difensore è il Figlio del Giudice. Egli è giusto e vi difende non sulla base della vostra perfezione, ma su quella della sua espiazione. Fatevi coraggio: non tenete Gesù solo per voi stessi, andare e fate discepoli.