Fratelli, La Nostra Afflizione È Per Il Loro Conforto
Da Libri e Sermoni Biblici.
Di John Piper
su Il Ministero Pastorale
Una parte della serie Brothers, We Are Not Professionals
Traduzione di Ilaria Feltre
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I pastori e la loro gente devono soffrire. “Attraverso molte afflizioni dobbiamo entrare nel regno di Dio” (Atti 14:22). “Voi stessi sapete che a questo noi siamo stati designati” (1 Tessalonicesi 3:3). “Il Signore corregge chi ama e flagella ogni figlio che gradisce” (Ebrei 12:6).
Le afflizioni sofferte dalla famiglia di Dio provengono dal Padre Celeste per il nostro bene. Questa è pura saggezza svedese:
Colui che di grazia ha colmo il cuore
Ciò che è giusto ad ogni giorno dà-
Mescolando gioia con dolore,
E fatica con serenità[1].
È anche biblico. Giobbe e Paolo hanno questo in comune: quando venivano colpiti da satana, sentivano la mano di Dio. Alla fin fine, la loro sofferenza proveniva dal Signore, e lo sapevano.
Il Signore disse a satana: “Tutto ciò che [Giobbe] possiede è in tuo potere” (Giobbe 1:12). Ma quando fu colpito dalla sciagura, Giobbe rispose: “LEternoha dato e l'Eterno ha tolto. Sia benedetto il nome dellEterno” (1:21). Una seconda volta, il Signore disse a satana: “Eccolo [Giobbe] in tuo potere; risparmia però la sua vita” (2:6). Ma quando giunse la tremenda malattia e la moglie di Giobbe lo sollecitava a maledire Dio, Giobbe rispose: “Se da DIO accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?” (2:10). E l’ispirato scrittore aggiunge: “In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra”.
Anche se satana è a volte la causa più prossima delle nostre sventure, non è peccato considerare Dio come la causa primaria più remota. Il progetto di satana è la distruzione della fede (Giobbe 2:5; 1 Tessalonicesi 3:5), ma il progetto di Dio è la profonda cura della nostra anima:
Il disegno a cui ti destino
È di filtrar le tue impurità
Alla ricerca d’oro fino[2].
Come Giobbe, Paolo riconosceva che la sua spina nella carne era “un angelo di Satana” (2 Corinzi 12:7), ma escogitata da Dio per uno scopo misericordioso: “affinché non m'insuperbisca [diventi troppo presuntuoso]”.
Satana non ha briglia sciolta nel mondo, e ancor meno nella famiglia di Dio. Quindi, nella nostra lotta contro la sofferenza, non troveremo mai sufficiente consolazione nel dire: “Proviene da satana, e non da Dio”. L’unica vera consolazione giungerà dal riconoscere che è opera del Dio onnipotente, e che Egli è infinitamente saggio ed infinitamente pieno d’amore verso coloro che ripongono la propria fiducia in Lui.
Non giudicar Dio dalle apparenze,
Sai che la grazia sua non mente;
Dietro alle accigliate Sue sembianze
Cela Egli un volto sorridente.
Il Suo intento alacre si rivela,
Sbocciando col passar delle ore;
La gemma un sapore amaro cela,
Ma dolce sarà di essa il fiore[3].
Dio ci ha rivelato uno degli intenti per i quali i pastori devono soffrire. Paolo dice in 2 Corinzi 1:6: “Se siamo afflitti, ciò è per la vostra consolazione e salvezza”. Un sermone su questo testo avrebbe come argomento principale ciò che segue: “Le afflizioni di un ministro cristiano sono escogitate da Dio, per ottenere la consolazione e la salvezza del suo gregge”.
Quando Paolo dice ai Corinzi che la sua afflizione è per la loro consolazione e salvezza, implica che dietro alle sue sofferenze esistono un intento ed uno scopo. Ma di chi è l’intento? E di chi lo scopo? Non è lui a progettare e pianificare le proprie afflizioni. E satana di certo non le escogita per consolare e salvare la chiesa. Quindi, Paolo deve voler dire che è Dio ad ideare e a pianificare le sue afflizioni pastorali per il bene della chiesa.
Dio ha stabilito le sofferenze di Cristo per la redenzione della chiesa (Atti 2:23; 4:27 e seguenti), ed ha disposto la sofferenza dei ministri cristiani per applicare tale redenzione (Colossesi 1:24).
È un pensiero che fa rinsavire, ma che allo stesso tempo consola notevolmente. Da un lato, significa che il tessuto della vita di un pastore conterrà nel suo intreccio cupi fili di dolore. Ma dall’altro, vuol dire anche che ogni afflizione che deve subire è stata stabilita non solo per il suo stesso bene, ma per il bene del suo gregge. Dio non spreca mai il dono della sofferenza (Filippesi 1:29). Essa viene data ai suoi ministri, perché Egli ne sa più di noi, ed il suo progetto è la consolazione e la salvezza della nostra gente.
Nessuna sofferenza pastorale è fine a sé stessa. Nessun dolore pastorale è ingiustificato. Nessuna avversità è assurda e priva di senso. Ogni angoscia ha il suo scopo divino nella consolazione dei santi, anche quando ci sentiamo meno utili.
Rispondere Al “Perché”
Come ottiene un pastore la consolazione e la salvezza del proprio gregge? Il contesto delle parole di Paolo suggerisce il seguente scenario:
Le circostanze contribuiscono ad indebolire lo spirito di un pastore (magari il deterioramento della salute, la perdita di una persona amata, l’abbandono di un amico, l’insensibilità della gente, la calunnia, la stanchezza o il troppo lavoro). Le cose degenerano a tal punto, da farlo persino disperare della vita stessa. Urla a gran voce: “Perché?”. La risposta viene da 2 Corinzi 1:9. “Affinché non ci confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti”. Se in tutto ciò, per grazia, riusciamo ad avere fede quanto un granello di senape nella somma bontà di Dio, scopriremo una consolazione indicibile.
Il grande progetto di Dio in tutte le nostre tribolazioni è principalmente farci abbandonare la fiducia in noi stessi. Quando facciamo ciò, vi è un momentaneo senso di cedimento. Ma, per fede nella misericordia di Dio, cadiamo, infinitamente più sicuri, tra le braccia di nostro Padre, il quale è completamente in controllo quando ci si trova fra la vita e la morte.
Ma Egli ci ha portato a questa lacerante caduta solo per noi stessi? No. “Se siamo afflitti, ciò è per la vostra consolazione”. Ora, come dice 2 Corinzi 1:4, noi “per mezzo della consolazione con cui noi stessi siamo da Dio consolati, possiamo consolare coloro che si trovano in qualsiasi afflizione”. Alla fin fine, un’unica cosa consola: “Dio che risuscita i morti”.
Tutte le afflizioni pastorali sono misericordiosamente escogitate per farci fare affidamento su Dio, e non su noi stessi. E quindi le nostre afflizioni ci preparano a fare ciò di cui la nostra gente ha maggior bisogno – dirigerli lontani da noi e verso il più che bastante Dio. In questo soltanto vi è consolazione e salvezza. Quindi, “Se siamo afflitti, ciò è per la vostra consolazione e salvezza”.
Almeno altre due volte in 2 Corinzi, Paolo comunica questo sobrio messaggio. Nei versi 4:7-12, descrive ed interpreta così le sue avversità come ministro: “Portando di continuo nel nostro corpo il morire del Signore Gesú, affinché anche la vita di Gesú si manifesti nel nostro corpo. Noi che viviamo, infatti siamo di continuo esposti alla morte per Gesú, affinché anche la vita di Gesú si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi opera la morte, ma in voi la vita”.
Questo è un altro modo per dire: “Se siamo afflitti, ciò è per la vostra salvezza”.
Quando Paolo sopporta debolezze, insulti, difficoltà, persecuzioni e disgrazie, e le accetta come la misericordiosa terapia di Dio, il potere di Cristo è perfezionato nella sua vita (2 Corinzi 12:7-10). E siccome è il potere di Cristo, non di Paolo, che porta vita alla chiesa, possiamo capire il perché delle parole: “In noi opera la morte, ma in voi la vita” (v. 12). La debolezza e l’afflizione di Paolo procurano vita alla chiesa. Così come dovrebbero fare le nostre.
Cristo, Il Nostro Esempio
Infine, Paolo ci ricorda che questo è l’esempio di Cristo: egli ha portato vita alla chiesa tramite debolezza ed afflizione; così dovrebbero fare anche i Suoi ministri. “Se egli infatti è stato crocifisso per la sua debolezza, ora però vive per la potenza di Dio, perché anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio verso di voi” (2 Corinzi 13:4).
Questa è una frase complicata, ma credo che significhi: la vita di un ministro in Cristo condivide tutte le debolezze (ed anche di più) che hanno portato Cristo alla croce. Ma nella nostra debolezza il potere di Dio si porta a compimento con due effetti: ci permette di amare e servire la chiesa, e quindi ci porta vita, adesso nell’uomo interiore (4:16), e infine nella resurrezione. L’idea principale viene ripetuta nel verso 13:9: “Noi ci rallegriamo quando siamo deboli, e voi siete forti”.
Il pastore cristiano non si aspetterà di consolare o salvare la sua gente, se non seguendo la via del Calvario. “Essendo [Cristo] ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Corinzi 8:9). Quindi Paolo si descrive come povero, “eppure arricchendo molti” (2 Corinzi 6:10). Povero, affinché la nostra gente possa essere ricca. Debole, affinché essi possano essere forti. Afflitto per la loro consolazione e salvezza.
Ma notate bene: neanche un briciolo di autocommiserazione. Perché non vi è niente che desideriamo più del “conoscere lui, Cristo la potenza della sua risurrezione e la comunione delle sue sofferenze, essendo reso conforme alla sua morte, se in qualche modo possa giungere alla risurrezione dai morti” (Filippesi 3:10-11).
Noi sappiamo che vi è maggior felicità nel dare che nel ricevere (Atti 20:35). Quindi, lungi da tutte le ingenue e romantiche idealizzazioni, il pastore cristiano dice insieme a Paolo: “Sovrabbondo di gioia in mezzo a tutta la nostra afflizione” (2 Corinzi 7:4). Perché “se siamo afflitti, ciò è per la vostra consolazione e salvezza”.