Chiamati a soffrire e gioire: per la santità e la speranza

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English: Called to Suffer and Rejoice: For Holiness and Hope

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Di John Piper su l'Afflizione
Una parte della serie Called to Suffer and Rejoice

Traduzione di Porzia Persio

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Romani 5,1-8

Giustificati dunque per fede abbiamo pace presso Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore,
 per mezzo del quale abbiamo anche avuto, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi ed esultiamo nella speranza della gloria di Dio.
 E non soltanto questo, ma esultiamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce perseveranza,
 la perseveranza esperienza e l’esperienza speranza.
 Or la speranza non confonde, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
 Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo a suo tempo è morto per gli empi.
 Difficilmente infatti qualcuno muore per un giusto; forse qualcuno ardirebbe morire per un uomo dabbene.
 Ma Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Nelle prossime quattro settimane, spero di aiutarvi a prepararvi a soffrire per Cristo. Uno dei motivi per cui penso che dovremmo essere preparati a soffrire per Cristo è perché la Bibbia dice che dovremmo, e un altro motivo è perché la situazione odierna dice che dovremmo.

Prepararsi a soffrire

David Barrett, lo studioso missionario redattore della Oxford World Christian Encyclopedia (Enciclopedia mondiale cristiana Oxford), pubblica ogni anno un aggiornamento sullo stato del Cristianesimo nel mondo, con proiezioni di come potrebbero essere le cose nell'anno 2000. Nell'aggiornamento di quest'anno si riporta che nel 1980 ci furono circa 270.000 martiri cristiani. Quest'anno ce ne saranno probabilmente 308.000, mentre per il 2000 ne sono stimati 500.000[1]. Si tratta di persone che muoiono più o meno direttamente perché sono cristiane.

Al giorno d'oggi in Somalia, decine di migliaia di cristiani vengono intenzionalmente isolati e lasciati a morire d'inedia da fazioni rivali. Le tensioni tra la popolazione musulmana e quella cristiana in Nigeria è pericolosamente esplosiva. I miliono di cristiani in Cina e in molti altri paesi vivono nel costante pericolo di molestie e incarcerazione.

Nel nostro stesso paese, la società laica in generale, soprattutto le élite intellettuali e i leader mediatici, sono sempre più ostili alla chiesa evangelica e alla visione biblica di giustizia e bontà che con essa sosteniamo. Il primo emendamento è stato distorto così tanto in favore degli antagonisti laici che non sarebbe più impensabile per qualche giudice contestare la fornitura pubblica di acqua, corrente e rete fognaria per la costruzione di chiese cristiane, in quanto sostegno incostituzionale alla religione da parte di risorse e regolamenti governativi.

Durante pacifiche manifestazioni di protesta, i sostenitori pro vita, che si limitano semplicemente a pregare sul suolo pubblico, possono venir assaltati con violenza dagli abortisti, come a Buffalo, nello stato di New York, e non ottenere alcuna protezione dalla polizia, ma anzi venir accusati come criminali.

Il nome di Gesù è apertamente disprezzato e bestemmiato da famosi intrattenitori in un modo che in un passato appena recente sarebbe stato mostrato come riprovevole agli occhi del pubblico, ma che oggi viene approvato o ignorato.

Il costo della Grande Commissione

Tutto ciò alla fin fine significa che essere cristiani costerà di più negli anni a venire. E portare a termine la Grande Commissione costerà la vita a qualcuno di noi, come già è avvenuto in passato, come sempre è avvenuto. Tertulliano,1800 anni fa, affermò: “Più ci mietete, più [noi cristiani] numerosi diventiamo: il sangue dei cristiani è semenza” (Apologetico, 50,13). E duecento anni più tardi, San Girolamo scrisse: “La Chiesa di Cristo è stata fondata sul suo proprio sangue sparso, non quello di altri; sopportando gli oltraggi, non infliggendoli. Le persecuzioni l'hanno accresciuta; i martiri l'hanno incoronata” (Lettera 82).

Facciamo un gran parlare di paesi chiusi al giorno d'oggi che abbiamo perso quasi del tutto la prospettiva di Dio sulle missioni, come se ci avesse mai detto che sarebbe stato facile e sicuro. Non vi sono paesi chiusi per coloro che presumono che persecuzione, incarcerazione e morte sono ciò che probabilmente deriva dalla diffusione del vangelo. E Gesù affermò laconicamente che tali erano: “Allora vi sottoporranno a supplizi e vi uccideranno; e sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome” (Matteo, 24,9). “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni, 15,20).

Finché non ritroveremo la prospettiva divina sulla sofferenza e la diffusione del vangelo, non gioiremo nel trionfo della grazia che Egli pianifica.

L'obbedienza alle missioni e alla giustizia sociale ha sempre avuto un alto prezzo e sempre lo avrà. Nel villaggio di Miango, in Nigeria, si trova un ostello della Società Internazionale Missionaria e una piccola chiesa, chiamata Cappella Kirk. Dietro la cappella, vi è un piccolo cimitero con 56 tombe, in 33 delle quali riposano i bambini dei missionari. Sulle lapidi si legge: “Ethyl Arnold: 1 settembre 1928–2 settembre 1928”; “Barbara J. Swanson: 1946-1952”; “Eileen Louise Whitmoyer: 6 maggio 1952-3 luglio 1955”. Questo è stato per molte famiglie il prezzo per aver portato il vangelo in Nigeria negli anni passati. Charles White raccontò di aver visitato il piccolo cimitero e concluse con una frase di formidabile potenza: “Il solo modo che abbiamo per capire il cimitero di Miango è ricordare che anche Dio seppellì il proprio Figlio in missione”.[2]

E quando lo resuscitò dai morti, chiamò la chiesa a seguirlo sullo stesso campo di pericoli detto “tutto il mondo”. Ma noi vogliamo seguirlo?

Che cosa fate di 2 Timoteo 3,12?

Un paio di anni fa a Ermelo, in Olanda, il fratello Andrew raccontò di come si era trovato a Budapest, in Ungheria, a diffondere gli insegnamenti della Bibbia a una dozzina di pastori di quella città. Giunse dalla Romania un vecchio amico pastore, recentemente rilasciato dal carcere. Il fratello Andrew smise di parlare, sapendo che era tempo di ascoltare.

Dopo una lunga pausa, il pastore romeno disse: “Andrew, in Olanda ci sono pastori in prigione?”. “No”, fu la riposta. “Perché no?”, ribatté il pastore. Il fratello Andrew rifletté un momento e replicò: “Penso che sia perché non approfittiamo di tutte le opportunità che Dio ci offre”.

Quindi sopraggiunse la domanda più difficile: “Andrew, che cosa fate di 2 Timoteo 3,12?”. Il fratello Andrew aprì la Bibbia, trovò il testo e lo lesse ad alta voce: “Infatti tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. Chiuse piano la Bibbia e disse: “Fratello, perdonami, ti prego. Non facciamo niente di quel versetto”.[3]

Temo che abbiamo annacquato il concetto di divinità in un'innocua moralità e osservanza della legge da classe media, tanto che 2 Timoteo 3,12 ci è divenuto inintelligibile. Penso che molti di noi non siano preparati a soffrire per il vangelo. Ed ecco perché mi sento chiamato a dedicare quattro settimane a ciò che la Bibbia dice a riguardo e a quello a cui Dio ci chiama oggi.

I quattro fini biblici della sofferenza

Ciascun messaggio corrisponde a uno dei quattro fini della sofferenza. E possiamo parlare di fini della sofferenza perché è chiaramente lo scopo di Dio che soffriamo talvolta per amor di giustizia e per amor del vangelo. Per esempio: “Perciò anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio, raccomandino a lui le proprie anime, come al fedele Creatore, facendo il bene” (1 Pietro 4,19; cfr. Ebrei 12,4-11).

I quattro fini della sofferenza a cui penso sono:

1. il fine morale, poiché la sofferenza affina la nostra santità e speranza (Romani 5,1-8),

2. il fine dell'intimità, poiché nella sofferenza la nostra relazione con Cristo diviene più profonda e più dolce (Filippesi 3,7-14),

3. il fine della missione, poiché Dio ci chiama a completare le afflizioni di Cristo mentre ampliamo il valore delle sue tramite la realtà delle nostre (Colossesi 1,24),

4. e il fine della gloria, poiché questa leggera, momentanea afflizione prepara per noi un peso eterno di gloria (2 Corinzi 4,16-18).

Il fine morale (spirituale) della sofferenza

Oggi ci concentreremo sul fine morale (o spirituale) della sofferenza. Dio ci ordina di soffrire per il vangelo e per la causa della giustizia, per gli effetti morali e spirituali che essa ha su di noi.

Esultare nella speranza della gloria divina

Leggiamo a questo proposito uno dei grandi testi: Romani 5,3-4. Dopo averci mostrato che siamo giustificati per la fede e che tramite Gesù abbiamo accesso alla grazia e che siamo nella grazia, nel versetto 2 Paolo dice che noi cristiani “esultiamo nella speranza della gloria divina”. Il motivo principale di gioia nella vita cristiana è l'intensa speranza che vedremo e condivideremo la gloria di Dio. La speranza della gloria di Dio è al cuore della nostra contentezza.

Ora, se questo è vero, allora Paolo è perfettamente coerente nel continuare, dicendo nei versetti 3 e 4 che esulteremo anche nelle cose che accrescono la nostra speranza. Ecco il concetto qui: cominciamo con la speranza della gloria di Dio alla fine del versetto 2 e poi terminiamo con la speranza alla fine del versetto 4. Il punto è: se esultiamo nella speranza, esulteremo in quel che produce speranza.

Che cosa produce la speranza

I versetti 3 e 4 ci descrivono che cosa sia. “E non soltanto questo [non soltanto esultiamo nella speranza della gloria di Dio], ma esultiamo anche nelle nostre tribolazioni, sapendo che esse producono la perseveranza, e la perseveranza [produce] l'esperienza [nel senso di approvazione], e l'esperienza [produce] la speranza”.

Quindi la ragione per cui esultiamo nelle tribolazioni non è perché ci piacciano il dolore, la tristezza, il disagio o la pena (non siamo masochisti), ma perché esse producono quello che ci piace, ovvero un senso sempre più forte di speranza che proviene dall'esperienza di una paziente perseveranza e dal senso di prova.

Dio ha un fine nella sofferenza della propria gente

Così la lezione principale qui è che Dio ha un fine nella sofferenza della propria gente. E questo fine è spesso diverso dallo scopo a cui lavora il ministero. Lo scopo del ministero potrebbe essere quello di evangelizzare gli individui senza chiesa nella nostra città, o i professionisti dei quartieri suburbani, o i musulmani turchi. Ma il fine di Dio potrebbe essere quello di produrre maggior speranza nei ministeri e nei missionari facendoli incarcerare. Dio fa sempre ben più di questo (come vedremo nelle prossime settimane), ma ciò sarebbe già sufficiente.

In altre parole, Dio non si occupa affatto della produttività e dell'efficienza del ministero nel modo che vorremmo. Paolo doveva continuamente riconsiderare la strana opera di Dio ogni qualvolta veniva incarcerato, picchiato, subiva naufragi o i suoi piani andavano all'aria. Come poteva Dio agire in modo così inefficiente da interromperne la missione ancora e poi ancora? La risposta di questo testo (non la sola risposta) sarebbe: Dio si impegna ad accrescere la speranza e la santità della propria gente mentre procede per raggiungere quel che è perso. E Dio soltanto sa come equilibrare queste due cose e farle combaciare nel migliore dei modi.

I tre effetti dell'afflizione

Ora esaminiamo più in particolare gli effetti dell'afflizione. Vi sono tre specifici effetti menzionati nei versetti 3 e 4.

1. Perseveranza

Innanzitutto, le afflizioni producono perseveranza o paziente sopportazione. Paolo non vuol dire che questo sia universalmente vero. In molti, le afflizioni suscitano odio, amarezza, rabbia, risentimento e rancore. Ma questo non è l'effetto corrente in coloro che hanno lo spirito di Cristo. Per loro l'effetto è di paziente sopportazione, poiché il frutto dello Spirito è la pazienza.

Il punto qui è che fino a quando le avversità non toccano la nostra vita, soprattutto le avversità per amore di Cristo e la sua giustizia, noi non sperimentiamo l'ampiezza e la profondità della nostra devozione a Cristo. Finché non arrivano i tempi duri, noi non proviamo e davvero non sappiamo se siamo cristiani superficiali, del tipo descritto da Gesù nella parabola dei quattro terreni in Marco 4,16-17:

Parimenti quelli che ricevono il seme su un suolo roccioso sono coloro che, quando hanno udita la parola, subito la ricevono con gioia;
 ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; e, quando sopravviene la tribolazione o la persecuzione a causa della parola, sono subito scandalizzati.

Dunque Paolo afferma che un grande effetto dell'afflizione è che produce paziente sopportazione e perseveranza nel popolo di Dio, cosicché esso vede la fedeltà di Dio verso la sua vita e sa di essere veramente suo.

2. Esperienza

Questo è il punto del secondo effetto menzionato (v. 4): “E [questa] perseveranza [produce] esperienza”. Letteralmente la parola dokimen significa “l'esperienza di essere testati e provati”. Potremmo dire “prova” oppure “verifica”.

Non è difficile da capire. Se, quando sopraggiungono le afflizioni, sarete perseveranti nella devozione a Cristo e non vi rivolterete contro di lui, uscirete da quell'esperienza con un più forte senso della vostra realtà e della vostra prova che non siete degli ipocriti. L'albero della fiducia è stato piegato e non si è spezzato. La vostra fedeltà e lealtà sono state messe alla prova e l'hanno superata. Ora esse sono “verificate”. L'oro della vostra fedeltà è stato provato nel fuoco e ne è uscito purificato, non consumato.

Quando il tuo cammino arduo si farà, La grazia, che a tutto basta, lì sarà, Le scorie con il fuoco a consumare Dell'oro tuo, che Io voglio affinare.

Questo è il secondo effetto dell'afflizione: provare e affinare l'oro della nostra fedeltà a Gesù. La perseveranza produce la sicurezza della prova.

3. Speranza

Il terzo effetto deriva da questo senso di essere testati, provati e affinati. Versetto 4b: “E l'esperienza [produce] speranza”. Questo ci riporta al versetto 2: “Esultiamo nella speranza della gloria di Dio”. La vita cristiana ha inizio con la speranza nelle promesse divine del vangelo, e tramite l'afflizione s'innalza a spirale verso una speranza sempre maggiore.

La prova produce maggiore speranza perché essa si accresce quando sperimentiamo la realtà della nostra autenticità attraverso di essa. Coloro che conoscono meglio Dio, sono coloro che soffrono con Cristo. Coloro che sono più saldi nella speranza, sono coloro che sono stati provati più in profondità. Coloro che guardano con maggior onestà, fermezza e intensità alla speranza della gloria, sono coloro la cui vita è stata sconvolta da afflizioni e triboli.

Esultare nella speranza della gloria e nell'afflizione

Quindi, la prima cosa che diremo in questa serie su sofferenza e afflizione, è che Dio ha un fine in loro. Questo fine è di produrre la paziente perseveranza del suo popolo per amore del suo nome, e tramite loro, di testare e provare e affinare la realtà della fedeltà e lealtà a Cristo, e tramite quel senso di prova, rendere più forte, profonda e intensa la nostra speranza.

In quanto chiesa, il nostro ministero si prefigge degli scopi (proselitismo nelle città, guida pastorale di piccoli gruppi, evangelizzazione più ampia, difesa dei non nati, mobilitazione di giovani e bambini); abbiamo una grande visione missionaria di inviare 2000 missionari entro l'anno 2000; abbiamo un edificio da pagare con i fondi destinati a tale scopo, tutto per Cristo e per il suo regno. Quanto di tutto questo Dio, nella sua sovranità, ci porterà a compiere, non posso saperlo. Ma una cosa so, nella nostra obbediente ricerca di questi fini, Dio ha uno scopo per tutti gli ostacoli e le frustrazioni, le pene e le afflizioni, e quello scopo è importante come quegli stessi fini, la vostra perseveranza, la vostra esperienza e la vostra speranza nella gloria di Dio.

Qualsiasi altra cosa Dio possa fare mentre pianificate la vostra vita, lo fa sempre al cuore della vostra vita. E dunque esultiamo con Paolo nella speranza della gloria e anche nelle afflizioni che verranno.

  1. 1.International Bulletin of Missionary Research, vol. 16, n°1, gennaio 1992, p. 27.
  2. 1.Charles White, “Small Sacrifices”, Christianity Today, vol. 36, n°7, 22 giugno 1992, p. 23.
  3. Estratto dalla prefazione a Herbert Schlossberg, Called to Suffer, Called to Triumph, (Portland: Multnomah Press, 1990), pp. 9-10