Accettare le debolezze cambierà la vostra vita

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English: Embracing Weakness Will Change Your Life

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Di Jonathan Parnell su Incoraggiamento

Traduzione di Francesca Macilletti

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Achille era un guerriero feroce con una storia complessa. Nell'Iliade di Omero lo vediamo diventare sempre più importante, il guerriero per eccellenza alla fine della guerra di Troia. Il suo intero retroscena è abbastanza melodrammatico da farebbe arrossire Downton Abbey, ma basti dire che nessuno era come lui. Achille era, contemporaneamente, ubriaco di rabbia e meticoloso nella destrezza quando guidò i greci in battaglia. Ma, probabilmente, molti di noi lo conoscono solo per il suo tallone.

Achille non muore nella storia di Omero, ma una leggenda greca dice che gli fu inflitta una ferita mortale al tallone; il “tallone d'Achille”, come viene chiamato oggi, è diventata una delle più popolari frasi idiomatiche nella cultura occidentale. Si riferisce al punto debole di una persona che lo porta alla rovina.

Ma questa idea deriva dalla mitologia greca, non dalla realtà cristiana.

La saggezza di Dio ci dà un'altra immagine. Coloro che credono in Gesù non hanno un tallone d'Achille – loro sono il tallone d'Achille.

Ecco quello che intendo: la mitologia greca ci mostra un invincibile guerriero con una debolezza che, quando sfruttata, conduce alla sconfitta; la realtà cristiana, invece, ci mostra un servo dipendente con una profonda debolezza che, quando sfruttata, porta al trionfo.

Questa è la nostra storia, il percorso che Gesù illumina (1 Pietro 2,21). Un eroe morto per i malvagi. La vittoria passa per la sconfitta; la vita è nata dalla morte; la conquista è stata acquisita con sofferenza; La notte più buia è seguita dal mattino più luminoso. Nell'economia di Dio, la nostra debolezza è uno dei nostri beni più grandi.

Indice

Definire la debolezza

Ora, cosa intendiamo per debolezza? La parola ha un significato così generale che dobbiamo considerare un certo tipo di definizioni prima di proseguire nel nostro discorso. Per prima cosa, dobbiamo chiarire cosa non sia la debolezza. Il concetto biblico di debolezza non riguarda le cose che non ci riescono bene. Siamo tentati a pensarla così. Sarebbe più semplice se la debolezza si limitasse a descrivere le cose che non riusciamo a fare. Ma il suo significato è molto più profondo. Non possiamo, semplicemente, girarvici intorno.

La debolezza è dappertutto nel Nuovo Testamento. Gesù ha detto ai suoi discepoli che, al contrario dello spirito, la carne è debole (Marco 14,38). Luca, attraverso Paolo, si riferisce ai deboli come coloro i quali sono economicamente svantaggiati (Atti 20,35). I credenti corinzi erano deboli nel senso sociale (1 Corinzi 1,26-27). Il Libro dei Romani ci dice che Gesù è morto per noi mentre eravamo ancora deboli, dei senza Dio e non avevamo la possibilità di meritare anche la più misera delle buone azione (Romani 5,8). Ma siamo deboli anche quando preghiamo, quando ci mancano le parole o le competenze (Romani 8,26). E poi ci sono dei cristiani che sono deboli quando non riescono a non giudicare gli altri sulle questioni di coscienza (Romani 14,1-4). La debolezza viene intesa anche come un'infermità fisica che Paolo sembra citare in 2 Corinzi 10,10; la spina nel fianco in 2 Corinzi 12,7; e la litania della sgradevolezza in 2 Corinzi 12,10. In un modo o nell'altro, abbiamo provato ciò che la Bibbia descrive come debolezza.

Il contesto, ovviamente, determina il significato preciso della debolezza, ma ogni uso è connesso all'idea generale di carenza. Se ci fosse un'ampia spiegazione per la debolezza, sarebbe “mancanza”. La debolezza significa che non abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno per compiere un'azione. Significa che non siamo sovrani, onniscienti o invincibili. Non abbiamo il controllo, non conosciamo tutto e possiamo essere fermati. Debolezza significa che abbiamo un disperato bisogno di Dio. E la preghiera per la mia anima, e per la vostra, è che riusciamo ad abbracciare le nostre debolezze, non disprezzarle.

L'impatto emotivo dell'accettare la debolezza

Quando accettiamo la debolezza, significa che ci siamo guardati dentro abbastanza a lungo da sapere che non possiamo farcela senza aggrapparci a qualcun Altro. Accettare la debolezza significa sapere di avere un bisogno disperato di Dio. Questa scoperta, per quanto demoralizzante possa essere, rifiuta di lasciarci soli fino a quando non subiamo un cambiamento che interessa la nostra chiesa, la nostra comunità e il nostro incarico. Entrando nello specifico, quelli che seguono sono tre esempi di come accettare la nostra debolezza possa avere un grande impatto sulle nostre vite.

1. Accettare la debolezza conferisce ai doni spirituali una grande importanza

La chiesa è una comunità soprannaturale ma non compiamo azioni soprannaturali, è Dio che se ne occupa. Siamo troppo deboli per realizzare l'opera di fede che siamo chiamati a compiere, non importa quanto uniche siano le nostre personalità. Essa proviene da un altro luogo, ossia, come Efesini 4,7-13 ci dice, dal Cristo risorto.

Nel passaggio, Paolo cita il Salmo 68 e descrive Gesù come un re vittorioso che distribuisce il suo bottino. L'ascensione di Cristo è stato il suo corteo monarchico fino al trono di Sion dopo aver sconfitto il peccato e la morte. Questa processione era molto di più che luci e cori di alleluia. Questo re è un conquistatore. Ha cicatrici e uno dei risultati che se ne ricavano è il dono dell'insegnamento del vostro pastore, la saggezza relazionale del vostro capogruppo o le parole incoraggianti della signora Betty.

Quando vediamo la vittoria di Cristo nei doni degli altri, i nostri occhi diventano più grati che critici. Celebriamo invece di cercare il pelo nell'uovo e siamo più toccati dal meraviglioso potere di Dio che sgraditi dalle nostre preferenze arbitrarie. Gesù è morto per quel dono; è morto per donarlo a vostro fratello o a vostra sorella e per farvi crescere. È una cosa importante.

2. Accettare la debolezza dona più vigore e pace nella nostra relazione con Dio.

John Owen afferma che vigore e pace sono la posta in gioco se non si mortifica il nostro peccato. Il vigore è l'idea delle nostre attività esterne, il nostro lavoro nel Signore. La pace è quella cosa nel profondo della nostra anima, il carattere delle nostre preghiere interiori.

Accettare la debolezza porta a un aumento di vigore, in quanto comprendiamo che il nostro lavoro deve derivare dalla potenza di Dio, non dalla nostra. È come negoziare una bicicletta per una Ferrari – non c'è paragone.

Accettare la debolezza porta più pace in quanto realizziamo nuovamente che Dio ci ama grazie alla Sua misericordia, non perché siamo forti. La nostra gioia non risiede nella nostra abilità ma nel sostegno che Dio ci dona in Cristo, colui nel quale ci ha scelti prima che il tempo avesse inizio secondo il Suo obbiettivo e la Sua grazia (2 Timoteo 1,9).

3. Accettare la debolezza massimizza la nostra prolificità.

Quando siamo concentrati su noi stessi, poniamo un limite alla potenza di Dio. Definiamo le possibilità in base alle nostre capacità, non le Sue. E se vi guardate abbastanza a lungo la vostra capacità di sognare si ridurrà a niente. Questo è un modo sicuro e triste di vivere: rifiutare di estendere i propri sogni oltre ciò che crediamo di poter fare da soli. Inoltre, significherebbe considerarsi più forti di quello che in realtà non siamo.

Sapere di essere deboli rovina la nostra autosufficienza. Confessiamo di essere individui pieni di difetti che non hanno speranza di fare qualcosa di buono e duraturo in questo mondo a meno che un Dio che possa risorgere i morti vi ci lavori. Ed è solo questo – un Dio che risorge i morti lavora attraverso di noi. Infatti, l'incommensurabile grandezza del Suo potere verso di noi è in accordo col potere che ha operato in Cristo quando lo ha resuscitato dai morti e lo ha posizionato alla Sua destra in paradiso (Efesini 1,19-20).

Quando accettiamo la nostra debolezza, sappiamo che il lavoro di Dio deve essere fatto col Suo potere. E se è compito di Dio, possiamo sognare in grande. Lui è forte abbastanza da fare qualunque cosa voglia (Salmo 135,6). È abbastanza buono da non risparmiare Suo Figlio ma rinunciarvici per tutti noi (Romani 8,32). E con un Dio tanto forte e buono, la domanda che dovremmo porci è “Cosa gli stiamo chiedendo?”. Nei nuovi cieli e nella nuova terra, quando la nostra fede diventerà visibile e osserveremo la gloria di Cristo, non penseremo al nostro presente e diremo “Sai, i miei sogni per la gloria di Dio erano decisamente troppo grandi”

Non lo diremo mai perché questa è la realtà cristiana, non la mitologia greca.