Lui Non è Qui, Lui è Resuscitato

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Versione delle 22:05, 1 dic 2009, autore: Steffmahr (Discussione | contributi)
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English: He is Not Here, He is Risen

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Di Chris Donato su Resurrezione di Cristo
Una parte della serie Tabletalk

Traduzione di Alessandro Celestino

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Molti cristiani sembrano accontentarsi di lasciare Gesù sulla croce, e molto spesso ignorano la sua resurrezione. Il fatto che la croce riceva così tanta attenzione è senza dubbio importante. Dopo tutto, questo evento fu “L’atto di giustizia” che portò “a giustificare la vita di tutti gli uomini” (Romani 5:18). Questo vuole dire che l’atto di giustizia dell’Uomo fu il culmine di tutta una vita di fedeltà di Gesù verso la volontà e verso lo scopo di suo Padre, all’offrire la Sua vita per il Suo popolo. Se andiamo un po’ più a fondo, osserviamo che molti di noi si sentono vicini all’affermare che vivremo nel disonore e nell’indignazione pubblica della croce fino al ritorno di Cristo, essendo questi colui che definisce la era in cui stiamo vivendo. Visto che viviamo in un mondo di sofferenza, insiste il pensiero, la crocifissione è la perfetta rivelazione dell’empatia di Dio di fronte alla Sua creazione. Anche la ragione per la quale quest’atto continua ad essere cruciale è esattamente data dal fatto che la Scrittura lo considera come la vittoria decisiva di Colui che morì sulla croce. Però, come dovrebbe continuare ad essere crocifisso Cristo per essere considerato dalla parte della vittoria? È qui dove si radica il trionfo nella storia di un Galileo disilluso che non ottenne che Dio stabilisse il Suo regno sulla terra?

Non è così. Senza la resurrezione, in realtà, la croce perde significato.

Con questo possiamo affermare che la croce in sé è totalmente inseparabile degli altri atti di redenzione che Dio realizzò attraverso Gesù durante la storia: – la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione, la sua ascensione e la venuta dello Spirito Santo nella Pentecoste – tutto ciò forma un fronte unificato nel quale vi si trovano l’era della morte e quella del peccato. La sconfitta di questi due orrori non è mai stata proclamata tanto audacemente come nella mattina di Pasqua. La resurrezione continua ad essere l’unica e più potente dichiarazione di Dio di questo Gesù, fatto uomo, “consegnato per il piano predeterminato e la preliminare conoscenza di Dio”, fu anche “figlio di Dio con il potere e la fedeltà allo Spirito di santità (Atti 2:23, Romani 1:4). Gesù e le sue opere straordinarie vennero vendicate quando Dio lo resuscitò tra i morti e lo innalzò come Signore e Cristo (Atti 2:36), visto che non fu più modesto e limitato, ma Messia del suo popolo e Governatore del mondo intero.

Se la Resurrezione non fosse avvenuta, allora i seguaci di Gesù, insieme a San Paolo sarebbero “tra tutti gli uomini, i più degni di sofferenza” (1 Cor. 15:19). In altre parole, se Cristo non fosse resuscitato, saremmo i più disperati, infelici e tristi esseri che il mondo abbia mai potuto vedere, avendo creduto al più crudele degli inganni – la speranza di una gloriosa salvezza, quando in realtà tutto ciò che abbiamo sono il peccato, l’iniquità, la morte. Ma Gesù è resuscitato e a questo possiamo credere, visto che lo stesso Gesù disse: “benedetti coloro che non vennero e tuttavia crederono” (Giovanni 20:29). Questa fu senza dubbio la ragione per cui l’apostolo Giovanni scrisse nel vangelo: “queste vennero scritte perché credeste che Gesù fosse il Cristo, il Figlio di Dio; e perché credendolo abbiate vita nel suo nome”. (v. 31). La resurrezione è parte integrale del messaggio di vita del Vangelo nel nome di Gesù. Non è negoziabile. Non ci si può considerare in linea con la “Cristianità apostolica” se non si accetta la resurrezione corporale di Gesù di Nazareth. Questa è la chiara testimonianza del Nuovo Testamento, intuito in modo sintetico dai Romani 10:9 “se ti confessi rivolgendoti a Gesù attraverso il Signore, e credi nel tuo cuore che Dio resuscitò tra i morti, sarai salvo”. Colui che lo neghi, nonostante sia trattato con “mansuetudine e riverenza” (1 Pietro 3:15-16) non verrà tollerato alla tavola della fratellanza; la “cristianità che professa non verrà presa in considerazione”.

La domanda che ci riguarda non è tuttavia sull’evidenza, ma sul significato. Che significato ha la resurrezione di Gesù nel piano di redenzione di Dio?

Per dirlo in parole povere, la resurrezione allontanò la maledizione della Rovina (peccato, iniquità, morte); tuttavia, non si tratta soltanto di resurrezione, visto che nella stessa è incluso ciò che ad essa la condusse: l’obbedienza di Gesù alla volontà di suo Padre (a volte chiamata obbedienza “attiva”) e la sua obbedienza alla morte (obbedienza “passiva”). Nella prima si vede chiaramente il ruolo di Gesù come secondo Adamo. Il messia inviato da Dio vinse il peccato della disobbedienza di Adamo con la sua perfetta obbedienza a ciò che Israele non poté fare, ovvero mantenere il patto.

Quando Adamo disobbedì al mandato divino, Dio inviò dopo di lui Abramo alla nazione di Israele perché li conducesse alla luce del Vangelo ed alla salvazione di Dio (vedere Isa: 41:8-9; 49:3-6). Visto che questo non funzionò, Gesù giunse come rappresentante di Israele; poté fare ciò perché fu inviato come il Cristo (“l’unto”). In Israele, l’unto, o re, era il rappresentante della nazione di fronte a Dio, oltre che il rappresentante scelto da Dio di fronte alla nazione (ad esempio, 2 Sam. 19:43; 20:1). Allo stesso modo d’Israele (vedere Isa 63:16), il Re era figlio di Dio: “Io sarò il padre per lui e lui sarà il figlio per me” (2 Sam. 7:14; anche Salmi 2:6-7). Il Re d’Israele, senza dubbio, non era osannato come i Faraoni d’Egitto (a differenza di Gesù che era il Dio-uomo). Così, per Gesù, essere il Cristo significava identificarsi con la sua gente in modo tale che ciò che si sarebbe potuto dire di lui, si sarebbe potuto dire, almeno all’inizio, anche di loro.

Per i Cristiani (sia giudei sia pagani, vedere Rom 9:4-8), questo significa che essi sono partecipi al patto di Dio, convertendosi attraverso la fede in eredi delle sue promesse, fedeli alla sua volontà e al suo proposito, in linea con il fatto che Gesù già lo era stato. L’apostolo Paolo volle dire esattamente ciò quando scrisse che siamo stati “battezzati in Gesù Cristo” (vedere Rom. 6:1-14). Infine, il dono che fluisce da questa perfetta fedeltà da parte di Gesù è il dono della vita in sé (“L’ultimo Adamo fu fatto spirito che da vita, “1 Cor. 15:45) e ci conduce quello che San Paolo descrive come “per un atto di giustizia risultò la giustificazione della vita” (Rom 5:18).

È nell’obbedienza di Gesù fino alla morte che si nota l’amplificazione del contrasto tra il primo e l’ultimo Adamo. “Il dono gratuito non è come la trasgressione” (Romani 5:15); in effetti, è molto superiore; la grazia in abbondanza di Dio eclissa per intero la trasgressione di Adamo. Ma come giungerà quella grazia? Ciò che Dio chiese ad Israele, come già detto in precedenza, fu di rivivere il patto con lui per poter sconfiggere la maledizione e la distruzione della rovina di Adamo. Riguardo questo argomento, l’apostolo disse: “Visto che non faccio ciò che di buono desidero, ma faccio solo il male che non voglio, allora è questo che metto in pratica” (Rom 7:19). Ossia, “il bene” del rispettare la Legge ha sempre portato “alla cattiva” rottura della Legge stessa, mentre Adamo continuerà ad essere il rappresentante di Israele. E per questa ragione non riuscirono nel loro intento. Anche così, il bisogno del lavoro del Servo rimaneva se il peccato doveva essere conquistato ed il vecchio uomo Adamico liberato (Isa 53:11). Chi ci ha liberato da questo corpo di morte? La risposta? Grazie a Dio, per Gesù Cristo Nostro Signore! (Rom 7:25). Gesù venne e compì alla perfezione la volontà di Dio, nonostante questa corrispondesse alla sua morte. Facendolo, revocò l’infedeltà di Adamo, cominciando con la sua vita resuscitata una nuova famiglia di Dio che portasse in cambio le sue caratteristiche e mise un mondo in caduta e corrotto di nuovo sul suo cammino verso la rinnovazione (Rom 8:21-22).

Quindi, uno dei punti più importanti del tema di oggi è che al momento del Battesimo in Gesù Cristo, anche noi condividiamo la sua vittoria e la sua esaltazione (Rom 6:1 ff). Non fu soltanto un peccato sconfitto dalla perfetta obbedienza di Gesù (fino alla sua resurrezione), ma anche la morte venne sconfitta, visto che ricevette la sua ferita del peccato. È come se avessero tolto il pavimento da sotto i piedi alla morte e questa non avesse il potere per mantenere Gesù nella tomba. Con ciò ci fu grantito che coloro che muoiono una volta, se stanno con Cristo non moriranno più. La preminente resurrezione, in altre parole, fu il “primo frutto” della grande resurrezione che sta per arrivare (vedere 1 Cor. 15:12-33: 51-57). In tal modo, i cristiani riscattati partecipano all’esaltazione di Cristo, essendo giustificati con Dio e con le sue leggi, riconosciuti come giusti di fronte al santo Giudice.

Così, nel terzo giorno della mattina di Pasqua presenziarono all’alba di un nuovo giorno. Ma non era solamente un nuovo giorno, diverso da qualunque altro che lo aveva preceduto; fu anche un giorno che portava con sé il futuro verso il quale tendeva. Mi viene in mente la vecchia analogia della guerra: la vittoria è stata proclamata, la guerra sta per finire, ma il peccato e la morte non hanno ancora sentito la notizia e sono ancora nel mezzo della lotta. Ma non dobbiamo temerle: perché non siamo più i suoi schiavi. Il vincitore, Gesù, ha distrutto il giogo del peccato e della morte portando via quella carica con sé stesso. La storia di Gesù, della sua tomba letteralmente vuota non conferma soltanto la speranza alla quale ci attacchiamo; offre allo stesso tempo ancora oggi la vita futura della resurrezione a ciascuna persona che è in Cristo. L’incertezza e il caos di questo mondo, alle volte oppressivo, non ci devono fare disperare. Non c’è nessun posto per ciò nella vita di colui che crede nella vittoria di Dio attraverso il Gesù Cristo innalzato. Nonostante sembri difficile, nel mezzo del lutto e dell’empatia della tragedia, dobbiamo ringraziare Dio alla luce della sua promessa: la nuova creazione, nel cielo e nella terra. Così, continuiamo a proclamare la nostra fede ogni giorno del Signore: “Cristo è morto, Cristo è risorto, Cristo ritornerà. “Verrà il giorno in cui la zizzania verrà affogata dalla dolce vite, la vera giustizia regnerà e coloro che una volta furono infelici peccatori non faranno altro che vivere risorti, alla perfezione e con umiltà alla presenza dell’Onnipotente.