La vita eterna si è manifestata in Cristo

Da Libri e Sermoni Biblici.

Versione delle 18:50, 30 lug 2015, autore: Pcain (Discussione | contributi)
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English: Eternal Life Has Appeared in Christ

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Di John Piper su Gesù Cristo
Una parte della serie Let Us Walk in the Light: 1 John

Traduzione di Francesca Macilletti

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1 Giovanni 1,1-4

1) Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che abbiamo completato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita — 2) poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi — 3) quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. 4) Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.

Le uniche lettere del Nuovo Testamento che non menzionano chi le abbia scritte, sono le tre epistole di Giovanni e quella agli ebrei. Il titolo della lettera “Prima Lettera di Giovanni” le è stato dato dalla chiesa. Ma ci sono tre buone ragioni per cui si pensa che l'apostolo Giovanni scrisse tale lettera.

Indice

Tre argomentazioni a sostegno dell'assegnazione a Giovanni della stesura della lettera

In primo luogo, i primi scrittori cristiani riconoscono in Giovanni il suo scrittore – Ireneo (d.C. 200), Clemente di Alessandria (d.C. 215) e Tertulliano (d.C. 220).

Secondo, lo scrittore si identifica come un testimone oculare della vita terrena di Gesù (1,1): “... Ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che abbiamo completato e ciò che le nostre mani hanno toccato”.

Infine, lo stile e la terminologia sono quasi identici a quelli utilizzati nel Vangelo di Giovanni.

Alla fine del Vangelo di Giovanni (21,24) ci viene detto esplicitamente che l'apostolo che lo ha scritto è stato “il discepolo prediletto” cioè, il discepolo che ha avuto la più intima amicizia personale con Gesù, colui che, durante l'ultima cena, sedette accanto Gesù (13,23), colui al quale Gesù affidò sua madre (19,26), colui che corse più velocemente di Pietro dalla tomba vuota (20,2-4).

Ma il discepolo prediletto non viene mai nominato. Doveva essere uno dei tre più vicini a Gesù: Pietro, Giacomo o Giovanni. Non può essere stato Pietro perché è detto che corse più velocemente di Pietro! E secondo Atti 12,1 Giacomo è stato ucciso da Erode circa dieci anni dopo la morte di Gesù. È molto improbabile che il vangelo di Giovanni sia stato scritto così presto. Quindi la conclusione più probabile è che il discepolo prediletto, l'autore del Vangelo e delle epistole è l'apostolo Giovanni.

Perché è importante assegnare la stesura delle lettere a Giovanni?

In un certo senso questo non è importante, in quanto l'autore, ispirato dello Spirito Santo, non ci ha detto il suo nome e, in fin dei conti, il significato del libro non dipende dalla certezza di conoscerne l'autore.

Ma è importante in un altro senso, perché rifiutare la paternità di Giovanni implica quasi sempre un rifiuto della sua affermazione di essere un testimone oculare del Signore. Praticamente, nessun studioso dice: “Non è Giovanni l'autore, ma un altro dei dodici”. Tutti sanno che se l'autore di questa lettera era abbastanza vicino a Gesù da toccarlo, si trattava necessariamente di Giovanni. Non ci sono altri discepoli papabili.

Quindi, rifiutare Giovanni quale autore dell'epistola è, quasi sempre, un rifiuto della verità presente nel primo versetto: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che abbiamo completato e ciò che le nostre mani hanno toccato …”. Se non fosse stato Giovanni l'autore delle lettere, non si sarebbe trattato di un testimone oculare e l'integrità dell'autore (che afferma di essere un testimone oculare!) sarebbe minacciata sin dall'inizio.

Quindi, il motivo per cui inizio con questi pensieri riguardanti la paternità di questa lettera è quello di sottolineare la questione con la quale inizia l'autore: egli aveva sentito, visto e toccato il Figlio di Dio.

Venite alla luce

Nel giorno del giudizio, Dio chiederà alle persone chi abbia letto questa lettera senza credere nella sua testimonianza: “Perché non avete creduto alla testimonianza del mio servitore Giovanni? Ha forse manifestato i tratti tipici di un bugiardo o un lunatico? Il suo insegnamento non era coerente a sé stesso? Forse il messaggio della sua lettera contraddice i fatti storici? Forse le sue intuizioni nel tuo cuore e le vie di Dio non hanno contribuito a rendere il senso della realtà? Forse la sua testimonianza non era coerente con le altre testimonianze su mio figlio? Perché non avete creduto alla sua testimonianza?”

In quel giorno di verità ci sarà una sola risposta: “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere” (Giovanni 3,20). Il motivo del nostro non credere non è la mancanza di testimonianze affidabili riguardanti la verità di Cristo. Il motivo è che, per credere, dovremmo avere ferite dalle quali la luce della santità di Dio possa entrare per abbagliare il buio dei nostri cuori.

Dovendo trattare la testimonianza di Giovanni delle prossime 21 settimane, vi esorto a non cercare di evitare il peccato in modo da poter venire alla luce e riflettere, a lungo e duramente, sul fatto che, questa lettera, sia il messaggio di qualcuno che ha visto e toccato realmente il Signore della gloria.

Cinque asserzioni in Giovanni 1,1–4

Per decomprimere il significato di questi primi quattro versetti, ho cercato di mettere in ordine logico le cinque affermazioni principali che ho notato.

  1. Cristo, la nostra vita, è eternamente esistito con il Padre.
  2. Cristo, la nostra vita, si è fatto carne.
  3. Attraverso l'incarnazione di Cristo, Giovanni ha ottenuto la comunione col Padre e col Figlio Suo Gesù Cristo.
  4. Pertanto Giovanni fa dell'annuncio di Cristo il fondamento della sua comunione con gli altri credenti.
  5. Giovanni desidera la pienezza della gioia che deriva dalla condivisione, da parte degli altri, della sua gioia nella comunione del Padre e del Figlio.

La sorgente da cui il fiume di questo testo scorre è Cristo, il quale non ha mai avuto un inizio, ma è esistito eternamente col Padre. E l'oceano nel quale sfocia il fiume di questo testo, è la gioia della nostra comunione con gli altri, col Padre e col Figlio.

Quindi, quello che vorrei fare con voi questa mattina, è camminare lungo il fiume di questo testo e berne un sorso in questi cinque posti. Ciò che spero è che Dio usi l'acqua della sua Parola per rinfrescare la vostra fiducia in Cristo e intensificare il vostro desiderio per la gioia nella sua comunione.

1. Cristo, la nostra vita, è eternamente esistito col Padre.

Questo lo capiamo principalmente dal versetto 2: “La vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi”.

Cristo è la nostra vita

In primo luogo, si noti che Cristo è chiamato semplicemente “la vita”. “La vita si è fatta visibile”. Fu Cristo a essere reso visibile. Cristo è apparso in forma umana. Ma, come viene detto in 1 Giovanni 5,11-12: “E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita.”. Così, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è la nostra vita. Quando siamo in comunione con lui, ne condividiamo la vita.

Questa vita è eterna

In secondo luogo, si noti che questa vita è eterna. “La vita si è fatta visibile... e vi annunziamo la vita eterna”. Questo è il miglior commento alla prima frase del versetto 1: “Ciò che era fin dal principio...”. “Dal principio” significa che Cristo, la nostra vita, era lì quando la creazione è iniziata. Egli è eterno. Non ha avuto un inizio e non avrà fine. Egli non è parte della creazione: ne è la fonte. Tutta la vita viene da lui. Egli è la primavera, non una parte del fiume. “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”. (Giovanni 1: 1-3).

Quindi, l'affermazione fondamentale di questo testo è che Cristo, nostra vita, è eternamente esistito col Padre. Tutto il resto deriva da ciò. Facciamo bene a meditare spesso e profondamente sulla realtà maestosa che Cristo sia esistito senza avere un principio.

2. Cristo, la nostra vita, si è fatto carne.

Anche in questo caso, il versetto 2 rende il tutto più semplice: “La vita si è fatta visibile”. Cioè, il Cristo eterno divenne visibile, è apparso. E la sua apparizione è chiarita nel versetto 1: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ciò che abbiamo completato e ciò che le nostre mani hanno toccato...”.

L'ostacolo dell'incarnazione

Il fatto che Giovanni afferma di aver toccato ciò che era fin da principio, vale a dire, la vita eterna che si era manifesta, dimostra chiaramente che si sta parlando dell'incarnazione. Il Cristo eterno, che era presso il Padre fin dal principio e che in effetti era Dio – questo Cristo si è fatto carne, è diventato uomo.

E in questo consiste l'ostacolo che ha frenato gli uomini dai tempi di Giovanni fino ai giorni nostri (cf Il mito di Dio incarnato). Giovanni dice, nella sua seconda lettera (v. 7), “Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo!”

Molti sono disposti a credere in Cristo, a condizione che rimanga una realtà meramente spirituale. Ma quando predichiamo che Cristo si è fatto uomo, che ha vissuto insegnando e che è morto sulla croce per espiare i nostri peccati, in quel momento la predicazione cessa di essere accettabile per molti.

Quando Dio si fa uomo . . .

Non credo sia tanto il mistero di una natura divina e umana in una sola persona a far dubitare la maggior parte delle persone sulla dottrina dell'incarnazione. L'ostacolo consiste nel fatto che, se la dottrina si rivelasse vera, ogni singola persona nel mondo dovrebbe obbedire a Cristo. Tutto ciò che dice sarebbe legge, tutto ciò che ha fatto sarebbe perfetto. E la particolarità delle sue opere e parole che vive nella storia sotto forma di un particolare libro (scritto in greco ed ebraico), rivendicherebbe un'autorità universale su ogni altro libro che sia mai stato scritto.

Questo è l'ostacolo dell'incarnazione – quando Dio si fa uomo, rimuove ogni pretesa da parte dell'uomo di essere Dio. Non potremmo più fare ciò che vogliamo; dovremmo fare ciò che quest'uomo ebreo vuole che facciamo. Non potremmo più fingere di essere autosufficienti, perché quest'uomo ebreo ci ha detto che siamo tutti malati a causa del peccato e che dobbiamo avvicinarci a lui per guarire. Non potremmo più dipendere dalla nostra saggezza per trovare la vita, perché quest'uomo ebreo, che ha vissuto per 30 oscuri anni in un piccolo paese del Medio Oriente, afferma “Io sono la via, la verità e la vita”.

Quando Dio si fa uomo, l'uomo cessa di essere la misura di tutte le cose perché è Cristo a esserlo. Questo è insopportabile per il cuore ribelle di uomini e donne. L'incarnazione è una violazione delle leggi riguardanti i nostri diritti scritti da Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden. È totalitaria, autoritaria! Imperialismo! Dispotismo! Usurpazione! Assolutismo! Chi si crede di essere!

DIO!

La prova dottrinale dell'autenticità spirituale

Quindi, la dottrina dell'incarnazione è sempre stata, sin dall'inizio, un riferimento all'ortodossia e all'autenticità spirituale. 1 Giovanni 4,2: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio”.

Solo lo Spirito di Dio può sconfiggere la nostra ribellione contro la particolarità autoritaria dell'incarnazione e farci sottomettere volentieri a quest'uomo ebreo considerato nostro sovrano assoluto. E quindi, la confessione secondo la quale Dio si è fatto carne, è la prova dottrinale data da Giovanni del fatto che noi siamo di Dio.

3. Attraverso l'incarnazione di Cristo, Giovanni ha ottenuto la comunione col Padre e col Figlio Suo Gesù Cristo.

L'ultima parte del versetto 3 dice: “La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”. La comunione (koinonia) è un'esperienza personale di condivisione di qualcosa di importante con gli altri. È il piacere di far parte di un gruppo quando si è d'accordo su ciò che conta davvero. È avere valori simili e rispondere con gli stessi sentimenti per ciò che conta veramente. È ciò che rende il mio lavoro con Tom, Steve, Dean e Char uno dei più grandi piaceri della mia vita. È ciò che dà radici, fibre e frutti a un matrimonio cristiano.

Quindi, dire che siete in comunione col Padre e col Figlio, significa che siete venuti a condividere i loro valori. Credete a quello che loro credono e amate ciò che loro amano. E così, vi dilettate a trascorrere del tempo insieme. Amate includerli in tutto ciò che fate. Desiderate di trascorrere l'eternità a conoscerli meglio.

La comunione mediante la Parola e la preghiera

Quello che significa è che noi richiamiamo ripetutamente, alla nostra mente, porzioni memorizzate della Parola di Dio; e siccome il Signore pronuncia parole di avvertimento, promessa od orientamento, preghiamo che ci aiuti a rispondere come si deve; e ci fidiamo di lui mentre camminiamo al suo fianco nella luce. Egli si avvicina a voi nella sua Parola. Vi avvicinate a lui nella preghiera. E nella forza di quella comunione, fate la sua volontà. È un modo meraviglioso di vivere la vostra vita.

La comunione mediante Gesù Cristo

Giovanni sa che deve il dono di questa comunione a Gesù Cristo. Cristo è venuto e si è fatto amico dei pubblicani e dei peccatori. Ha offerto la sua comunione a tutti coloro che erano disposti a cambiare i loro valori e vedere la realtà delle cose con lui. Non potete essere in comunione con Gesù se non vi fidate del suo giudizio. Ma se vi fidate di lui, non sarete solo in comunione con lui, ma anche con Dio Padre. Giovanni dice in 2,23, “Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre”.

Quindi, ogni volta che qualcuno testimonia la verità di Gesù Cristo – chi era, quello che faceva e i suoi valori – coloro che ascoltano la testimonianza possono smettere di ribellarsi alla volontà di Cristo, accettare i suoi valori e inizia ad essere comunione col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.

4. Pertanto Giovanni fa dell'annuncio di Cristo il fondamento della sua comunione con altri credenti.

Il versetto 3 dice: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”. O, leggendo il versetto al contrario, “Dal momento che la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo, l'unico modo in cui possiamo coltivate tale comunione con voi è facendovi conoscere ciò che sappiamo circa il Figlio che abbiamo visto e udito”.

Condividere la dottrina è la base della comunione cristiana

A Bethlehem si parla di tre priorità del ministero: l'impegno per Dio nel culto, l'impegno per l'altro nel nutrimento e l'impegno per il mondo nella testimonianza. Si noti come questo versetto supporta il rapporto tra i primi due. Al fine di sperimentare la comunione con i suoi lettori, Giovanni dice loro quello che crede riguardo a Gesù Cristo. In altre parole, non è possibile una comunione significativa tra persone che non condividono la stessa visione di Gesù Cristo. La dottrina comune è la base della comunione cristiana.

Quando Giovanni vuole far nascere una comunione con un gruppo di persone, scrive loro una lettera teologica. Quando Paolo voleva preparare una missionario supportandolo e inviandolo in Spagna, ha scritto un libro teologico chiamato Romani. Quanto più profonda e forte desiderate che la comunione sia, tanto più la teologia deve essere condivisa.

Tre lezioni

Ci sono così tante lezioni presenti qui per noi. Vorrei citarne tre.

Prima lezione, il grande pericolo del movimento carismatico in tutto il mondo odierno (con tutto il bene che vedo in esso) è che, spesso, tenta di mantenere una comunione tra i credenti sulla base di un'esperienza condivisa piuttosto che sulla base di una teologia condivisa. Questo non è il modo biblico per farlo, e il tutto scemerà in esperienze poco fondate o nello sviluppo di una teologia eretica attua ad appianare le differenze.

Seconda lezione, sicuramente questo testo implica che nessun cristiano dovrebbe sposare un non credente. La comunione profonda delle cose che contano di più non è possibile se non condividiamo la stessa comprensione e gli stessi sentimenti nei confronti di Cristo.

Terza lezione, si tratta di un grande e triste ironia che, come comunità, professando di amare la Bibbia, abbiamo la reputazione di cercare di preservare l'unità della comunione non esaltando le grandi dottrine della Scrittura, ma evitandole. Quando Giovanni voleva entrare in comunione coi suoi lettori, utilizzava la teologia. Quando la comunità vuole coltivare e conservare la comunione, utilizziamo la teologia. Stiamo pagando il prezzo per questo in molti modi. Ed è un peccato.

Se Dio vuole, stabiliremo una pace diversa a Bethlehem. Saremo esplicitamente teologici e metteremo sempre le carte in tavola. L'ultima cosa che voglio fare è attrarre o mantenere alta l'attenzione della gente celando le differenze che ci riempiono di passione e zelo per la gloria di Dio. Rendere la teologia biblica meno accettabile è la fine del culto, dell'ortodossia, delle missioni, della moralità e della crescita. E la BGC è in difficoltà in ognuno di questi settori.

Cerchiamo di essere come Giovanni. Versetto 3: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”. Questo è ciò che crediamo di Cristo! Apprezzate quello che noi apprezziamo? (Cfr 4,6).

5. Infine, la ragione per cui Giovanni scrive la sua testimonianza di Cristo in questa lettera è perché desidera la pienezza della gioia che deriva dalla condivisione, da parte degli altri, della sua gioia nella comunione del Padre e del Figlio

Versetto 4: “Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”. Credo che tutte le versioni moderne abbiano ragione nell'accettare la lettura “la nostra gioia” al posto di quella del Re Giacomo “la vostra gioia”.

Naturalmente, in una chiesa dove una delle nostre caratteristiche distintive è l'edonismo cristiano, non si tratta di una sorpresa. Prima viene l'enorme gioia di conoscere Dio e sperimentare la comunione con lui. Successivamente desideriamo qualcosa di più. Questo non significa che qualcosa potrebbe essere aggiunto a Dio, ma che possiamo vivere Dio al meglio nella comunione dei santi (cfr Salmo 16,1-3). Se ciò non fosse vero, il desiderio di comunione sarebbe idolatria. La nostra gioia nella comunione di Dio si completa nella gioia che gli altri sperimentano nella comunione di Dio.

Questa è l'essenza stessa dell'edonismo cristiano – la dottrina che non è solo lecita, ma necessaria per perseguire la propria felicità nella santa felicità degli altri. Se dovesse essere il vostro obiettivo quello di guidare un amico nella comunione di Dio, ma nel vostro cuore pensaste: “Mi è indifferente se egli trova la comunione in Dio” significherebbe che siete malvagi. Dio non vuole che il nostro cuore sia indifferente al bene che cerchiamo. Vuole che ci dilettiamo di esso. Egli vuole che perseguiamo la nostra gioia in essa, proprio come ha fatto Giovanni. “Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”.

Che devastante dottrina – insegnare che è sbagliato per un cristiano perseguire la propria felicità. Questa dottrina è un insulto a Dio il quale ci ordina di deliziarci nel Signore e nel donare la nostra vita per condividere quella gioia con gli altri.

In breve:

  1. Cristo, la nostra vita, è eternamente esistito con il Padre.
  2. Cristo, la nostra vita, si è fatto carne.
  3. Attraverso l'incarnazione di Cristo, Giovanni ha ottenuto la comunione col Padre e col Figlio Suo Gesù Cristo.
  4. Pertanto Giovanni fa dell'annuncio di Cristo il fondamento della sua comunione con gli altri credenti.
  5. Dovremmo desidera la pienezza della gioia che deriva dalla condivisione, da parte degli altri, della sua gioia nella comunione del Padre e del Figlio.