L'obbedienza conferma la nostra posizione in Dio

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Di John Piper su Perseveranza dei Santi
Una parte della serie Let Us Walk in the Light: 1 John

Traduzione di Francesca Macilletti

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1 Giovanni 2,3-6

Indice

Introduzione: Due motivi per cui Giovanni scrive

Qualcosa ha sollevato la questione riguardante la certezza della salvezza nella chiesa alla quale Giovanni stava scrivendo. Se ne parla per tutta la lettera. Riesco a vedere almeno due motivi per cui l'apostolo affronta l'argomento.

1. Il gruppo di credenti professanti che hanno abbandonato la chiesa

Uno di questi motivi è il gruppo di credenti professanti che hanno abbandonato la chiesa. In 2,19 Giovanni si riferisce a questo gruppo in un modo che mostra quanto doloroso questo sia stato per la chiesa e come abbia sollevato l'intera questione sulla certezza e garanzia della salvezza. Egli ha detto: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri”.

Non è difficile ascoltare la difficoltà alla quale Giovanni stava rispondendo. Quando dice “Se fossero stati nei nostri, sarebbero rimasti con noi”, è possibile ascoltare la domanda alla quale stava dando una risposta. I membri della chiesa rimasti indietro hanno probabilmente pensato: “Giovanni, pensavamo avessi insegnato che, quando una persona crede in Cristo, ha vita eterna (Giovanni 3,16); pensavamo avessi detto che, quando la pecorella smarrita ascolta la voce di Gesù, essa ha diritto alla vita eterna e nessuno la può strappare dalle sue mani (Giovanni 10,27-28). Ma adesso ecco che si sono allontanati e hanno abbandonato la tua dottrina! Cosa dobbiamo pensare?”

E la risposta di Giovanni a questa domanda è: “Non ho cambiato nulla in quello che ho insegnato. Le pecorelle smarrite sono eternamente sicure nelle mani di Gesù. Hanno diritto alla vita eterna. Dunque, la mia interpretazioni su ciò che è accaduto nella chiesa è che questo gruppo non è mai stato parte del gregge. Non sono mai stati “dei nostri”. Se lo fossero stati – se fossero stati parte del gregge – sarebbero rimasti con noi”. Le pecorelle smarrite sono eternamente al sicuro! E lo dimostrano perseverando nella fede.

È perché Giovanni non crede nell'eterna certezza della pecorella che deve concludere che, se una persona abbandona la fede, essa non era realmente parte del gregge. Se non avesse creduto nella certezza eterna, avrebbe potuto benissimo dire: “Una volta essi erano dei nostri, ma ora non più. È molto semplice”. Ma non ha detto questo in quanto crede che: Una volta che si è dei nostri, lo si è per sempre. Una volta che si è parte del gregge, lo si è per sempre.

Quindi, adesso la chiesa affronta la questione: “Giovanni, se alcuni dei leader della chiesa possono abbandonare la dottrina apostolica e perdersi, allora come possiamo sapere chi è autentico e chi no? Come potremmo essere sicuri di noi stessi?” Quindi, l'allontanamento di questo gruppo dalla chiesa è una delle ragioni per cui il problema della certezza della vita eterna lo ha forzato a parlare del problema in questa chiesa.

2. Cosa dicevano i falsi maestri

La seconda cosa che ha causato il problema riguarda ciò che questi falsi maestri (che hanno apparentemente abbandonato la chiesa) dicevano. E possibile capire il loro punto di vista dietro ogni frase di questa lettera, specialmente dietro quella che inizia con le parole: “Se qualcuno dice … ”, o “Colui che dice … ”, o “Se diciamo … ”. Leggiamo alcune di queste frasi per avere un'idea di ciò che i falsi maestri dicevano.

Non è difficile vedere alcuni dei falsi insegnamenti dietro queste affermazioni. I falsi profeti (come li chiama Giovanni in 4,1) stavano evidentemente dicendo di essere in comunione con Dio, di conoscerlo, di dimorare in Cristo, di essere nella luce e di amare Dio. Ma, evidentemente, insegnano anche che la loro condotta di vita non incide nella loro posizione dinanzi a Dio. Eppure, dichiarano di essere senza peccato (“Se diciamo di essere senza peccato …”). Ora, qual è il risultato di tutto questo? Chi erano queste persone che dichiaravano di essere senza peccato, ma che dicevano che il peccare non incideva sulla nostra posizione dinanzi Dio?

1 Giovanni 3,7 dà un indizio, perché qui l'apostolo mette in guardia esplicitamente contro l'insegnamento ingannevole dei falsi profeti. Egli dice: “Figlioli, nessuno v'inganni. Chi pratica la giustizia è giusto”. Quindi, quando dice: “Guardatevi dall'inganno”, di cosa sta parlando? Qual è l'opposto di: “Colui che pratica la giustizia è giusto”? È: “Potete essere giusti anche se non praticate la giustizia”. Giovanni dice: “Non lasciatevi ingannare da questi falsi profeti che si sono allontanati da voi: chi pratica la giustizia è giusto. Quando dicono che un uomo può essere giusto davanti a Dio anche se non pratica la giustizia, stanno mentendo. Chi pratica la giustizia è giusto”.

Ora, iniziamo a capire cosa stava accadendo in questa chiesa. Evidentemente c'era un gruppo familiare alla dottrina della giustificazione per mezzo della fede. Si tratta della dottrina che Paolo enfatizza in Romani e Galati. Essa afferma che, attraverso la fede in Cristo, possiamo essere assolti da tutti i peccati e, quindi, mostrarci dinanzi a Dio sul conto della morte di Cristo.

Ma sono stati molti i membri della chiesa dei primi anni che hanno preso la dottrina di Paolo e l'hanno distorta per insegnare cose che Paolo rifiutava. Alcuni dicono: “Facciamo il male perché ne venga il bene” (Romani 3,8). Altri dicono: “Rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia” (Romani 6,1). E Paolo ha corretto questi due abusi della dottrina nel libro dei Romani.

Alcuni dicono che la fede può giustificare una persona, che essa porti a opere buone oppure no. E Giacomo risponde, nel secondo capitolo della sua lettera: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?”. E altri dicono – stiamo parlando dei falsi profeti – “Potete essere giusti anche se non praticate la giustizia”. A questi, Giovanni risponde attraverso la sua potente lettera, specialmente in 3,7: “Nessuno v'inganni. Chi pratica la giustizia è giusto”. Quello che fate è una prova di quello che siete.

Quindi, potete vedere la seconda ragione per cui il problema della certezza della vita eterna è nato in questa chiesa. I falsi profeti insegnavano che era possibile godere della certezza di trovarsi dinanzi a Dio senza peccato, nella giustizia e nella luce, anche se si camminava nelle tenebre, si disobbediva ai comandamenti di Dio e si odiava il proprio fratello. Questo non quadra con l'insegnamento di Paolo, di Giovanni e del Signore. Quindi, si doveva affrontare il problema. Cioè, il perché di questa lettera. E il perché di 2,3-6.

Esposizione: tre fasi

Ci sono tre fasi nell'argomentazione di 2,3-6.

  1. In primo luogo, c'è l'asserzione secondo la quale esiste una connessione necessaria tra conoscere Cristo e obbedire ai suoi comandamenti. Conoscere Cristo produce, necessariamente, l'obbedienza. Versetti 4-5a: “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto”.
  2. Successivamente, da ciò segue che potete avere la certezza di conoscere realmente Cristo se obbedite ai suoi comandamenti (considerando che l'obbedienza è il risultato necessario del conoscerlo). Versetti 3 e 5b: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti . . . Da questo conosciamo di essere in lui”.
  3. Infine, da questo segue che chiunque dice di dimorare in Cristo, deve camminare allo stesso modo in cui lui ha camminato. Altrimenti perderete la certezza e proverete che, in realtà, non conoscevate affatto Cristo. Versetto 6: “Chi dice di rimanere in lui, deve anch'egli comportarsi come lui si è comportato”.

Quindi, l'argomentazione è costruita sulla base di un fatto teologico: conoscere Cristo permette di essere obbedienti. Da questo fatto ha origine la dottrina di Giovanni della certezza: potete sapere di conoscere Cristo, se gli obbedite. E da queste due verità deriva il dovere: camminate come Cristo.

Ora, analizziamo nel dettaglio ognuna di queste fasi.

1. Il fondamento dell'argomentazione

Il fondamento dell'argomentazione lo troviamo nei versetti 4 e 5: “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto”.

Tre domande:

1.1—Cosa significa “conoscere Cristo” nel versetto 4?

Il motivo per cui penso che il versetto stia parlando del conoscere Cristo è perché Cristo è l'ultima persona della quale si parla nel versetto 2. Ma è possibile che la conoscenza di Dio sia voluta. Non credo che faccia alcuna differenza a Giovanni visto che, secondo il suo modo di pensare, non potete conoscere l'uno senza conoscere l'altro (Giovanni 8,19; 1 Giovanni 4,15).

Ma ora, cos'è questo sapere che fa sorgere l'obbedienza? Ci deve essere qualcosa di molto potente riguardo questa conoscenza. È così certo che essa produca l'obbedienza, che Giovanni chiama bugiardo chiunque sostenga di avere questa conoscenza senza essere obbediente. Che tipo di conoscenza di Cristo ha il potere di produrre infallibilmente l'obbedienza a Cristo stesso?

Giuda conosceva Cristo. Molti studiosi non credenti oggi conoscono più su Cristo di molti cristiani. Ci deve essere una conoscenza diversa da questa che è meramente fattuale. Il Signore disse in Osea 4,1-2: “Non c'è infatti sincerità né amore, né conoscenza di Dio nel paese. Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette adulterio”. Così Osea ha la stessa visione del conoscere Dio che ha Giovanni: non ci può essere conoscenza di Dio se il peccato persiste.

Gesù ci dà un ulteriore assaggio in questo tipo di conoscenza di Dio. In Matteo 11,27 ha detto: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. Quindi, vi è una particolare conoscenza di Dio che nessuno può avere se non gli viene data dal Figlio.

In 1 Giovanni 4,6 viene detto: “Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta”. Notate come l'opposto della conoscenza di Dio sia “non essere da Dio”. Cioè, conoscere Dio significa appartenere a lui, nascere da lui, essere come lui (3,9).

Quando un soldato torna dal combattimento, potrebbe dire ai civili che sono rimasti a casa: “Voi non sapete che cosa sia la guerra”. Egli intende: “C'è una conoscenza che viene solo dall'esperienza. C'è un sapere che viene solo dall'accettare una realtà e dall'assaporarla pienamente”.

Quindi, in 1 Giovanni 2,4, l'apostolo dice non solo che questi disobbedienti non conoscono Dio. Egli continua dicendo, alla fine del versetto: “La verità non è in lui”. È per questo che la sua conoscenza non è conoscenza. Non è in lui. La possiede superficialmente, ma non vi si è mai sprofondato dentro. Non ha mai assaporato la verità che declama così facilmente.

Così, la conoscenza che Giovanni ha in mente in 2,4 è un esperienza di Cristo e di Dio Padre nella quale essi entrano del profondo delle nostre vite per cambiare il nostro modo di vivere.

1.2—Ma come fa questa conoscenza di Dio a produrre l'obbedienza?

L'intero caso di Giovanni pende dalla certezza secondo cui il conoscere Dio produce l'obbedienza. Se una persona potesse conoscere Dio e vivere ancora nella disobbedienza, Giovanni non avrebbe potuto dire a quest'uomo disubbidiente, nel versetto 4, che è un bugiardo quando dice di conoscere Dio. L'apostolo non sarebbe in grado di sapere se quest'uomo sia un bugiardo o meno se conoscesse Dio e tuttavia vivesse nella disubbidienza.

Quindi, come può questa conoscenza garantire l'obbedienza? 1 Giovanni 4,16 dice: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi. Dio è amore”. Notate come egli metta insieme queste due parole: abbiamo conosciuto e abbiamo fiducia nell'amore di Dio. Conoscere l'amore che egli prova per voi significa avere fiducia in esso. Per Giovanni, è impensabile che una persona possa conoscere l'amore di Dio e non avere fiducia in esso. Non avere fiducia nell'amore di Dio significare non pensare che si tratti di vero amore. Tutto ciò che Giovanni può dire a qualcuno che non si affida all'amore onnipotente è: tu non lo conosci. Non puoi conoscerlo, altrimenti ne avresti fiducia.

Quando Dio vi comanda di fare qualcosa e lo ignorate o andare contro il suo comandamento, Giovanni può solo concludere una cosa: Voi non credete che Dio sia amore. E, quindi, non lo conoscete. Se credeste che Dio è amore, allora credereste che tutti i suoi comandamenti sono la cosa migliore per voi, e li seguireste. Quando vi allontanate dai comandamenti di Dio dite, in effetti, un Dio amorevole non mi ordinerebbe di fare questo. E così la nostra disobbedienza mostra la nostra mancanza di fiducia nell'amore che Dio ha per noi: mostra che noi non conosciamo Dio.

Non è ironico che la gente al giorno d'oggi dica: “Se conoscete l'amore di Dio, non dovete preoccuparvi quando peccate”? Ma l'apostolo Giovanni dice: “Se conoscete l'amore di Dio, non riuscirete a peccare”. Perché, se credete realmente all'amore che Dio prova per voi, allora tutti i suoi comandamenti saranno il consiglio amorevole di un saggio Padre.

Come viene detto in 1 Giovanni 5,3: “In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”. Se conosciamo e crediamo nell'amore che Dio prova per noi, i suoi comandamenti non saranno gravosi. Saranno piuttosto come una mappa che ci guida attraverso la giungla sconosciuta per condurci alla spiaggia dove ci attende sul suo yacht di 60 piedi per portarci con lui in una crociera lunga un'eternità.

Quindi, la risposta alla nostra seconda domanda è che conoscere Dio produce l'obbedienza perché Dio è amore. Se vi allontanate dai suoi comandamenti perché credete che troverete maggiore felicità nella disobbedienza, non pensate che Dio sia amore. Voi non lo conoscete: conoscerlo come Dio di amore deve essere il risultato dell'obbedienza dei suoi comandamenti.

Ricordiamo il servo malvagio della parabola delle monete in Luca 19,11-27. Il suo padrone gli diede una moneta e disse: “Falla fruttare fino al mio ritorno”. Ma l'uomo disobbedì, la mise in un fazzoletto e non la fece fruttare. Quando il padrone gli chiese il perché, disse: “Avevo paura di te perché sei un uomo severo”. E questo è il motivo dietro tutta la disobbedienza: non crediamo che i comandamenti di Dio siano un'espressione d'amore che ha a cuore il nostro interesse. Pensiamo, invece, che essi siano stati decretati da un Dio severo che vuole trattenere da noi la felicità che desideriamo. Così, disobbediamo e dimostriamo di essere bugiardi quando dichiariamo di conoscere Dio.

1.3—In che senso il nostro custodire la parola di Dio è un perfezionamento dell'amore di Dio (2:5)?

Il termine “amore di Dio” è ambiguo. Per il RSV indica il nostro amore per Dio, mentre per il NIV indica l'amore di Dio nei nostri confronti. Il NASB lo rende come in Greco: ambiguo - “Amore di Dio”. Si possono confrontare, in 1 Giovanni, entrambi i sensi (amore di Dio per noi: 3,17; nostro amore per Dio: 2,15; 3,14; 5,3). È possibile che Giovanni li intendesse entrambi, visto che crede che l'amore di Dio in noi è riflesso in quello per lui e per gli altri.

Se Giovanni, in 2,4, intendesse l'amore di Dio per noi, allora il senso del versetto sarebbe lo stesso di 4,12: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi”. Cioè, amarsi l'un l'altro, o custodire la parola di Dio, perfeziona l'amore di Dio in noi completandolo con le azioni. Se è represso e non condiviso con gli altri, non è completo o perfetto.

Se Giovanni, in 2,4, intendesse il nostro amore per Dio, allora il senso sarebbe praticamente lo stesso di Giacomo 2,22: dove la stessa parola (perfezionato) è usata per dire che “la fede è perfezionata dalle opere”. Cioè, la nostra fede in Dio o l'amore per lui sono completi quando quella fede o quell'amore si formano nell'obbediente amore per gli altri.

In entrambi i casi, il punto è che le persone che non custodiscono la parola di Dio non possono dichiarare di amarlo o di avere in loro il suo amore. Come viene detto in 4,8: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.

Quindi, la prima fase dell'argomentazione riguarda la verità fondamentale che esiste una necessaria connessione tra conoscere Cristo e obbedire ai suoi comandamenti. Chiunque dice di conoscerlo e vive nella disobbedienza, è un bugiardo.