Il tuo amore vale più della vita

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Versione corrente delle 20:31, 1 giu 2017

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Di John Piper su La Missione della Chiesa

Traduzione di Marta Casara

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Salmo 63

O DIO, tu sei il mio DIO,
io ti cerco al mattino;
l'anima mia è assetata di te,
a te anela la mia carne,
in terra arida e riarsa,
senz'acqua.

Così ti ho ammirato nel santuario,
contemplando la tua forza e la tua gloria.
Poiché la tua benignità vale più della vita,
le mie labbra ti loderanno.
Così ti benedirò finché io vivo
e nel tuo nome alzerò le mie mani.
L'anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso,
e la mia bocca ti loderà con labbra giubilanti.

Mi ricordo di te sul mio letto,
penso a te nelle veglie della notte.
Poiché tu sei stato il mio aiuto,
io canto di gioia all'ombra delle tue ali.
L'anima mia si tiene stretta a te;
la tua destra mi sostiene.

Ma quelli che cercano la mia vita per distruggerla,
scenderanno nelle parti più basse della terra.
Essi saranno dati in potere della spada
e diverranno preda degli sciacalli.

Ma il re si rallegrerà in DIO;
chiunque giura per lui si glorierà,
perché la bocca dei bugiardi verrà costretta al silenzio.
(NVI - Nuova Versione Internazionale)

Quelli tra noi che a Betlemme ricoprono ruoli direttivi pensano che con quanta più decisione sapremo focalizzare l’attenzione sugli obiettivi strategici della nostra Chiesa, tanto più consapevolmente sarà possibile raggiungerli. O, per dirla in altre parole, se non si è in grado di definire in modo chiaro e conciso perché esistiamo come Chiesa, sarà poi più difficile servire il suo scopo e la sua missione.

E noi crediamo con tutti noi stessi che, proprio come ogni occhio e orecchio e dente e lingua e dito e alluce devono servire lo scopo e il compito del corpo umano, così ogni singolo membro della Chiesa Battista di Betlemme (Minneapolis) deve servire lo scopo per cui esistiamo come Chiesa.

Indice

La nostra missione

Quattro anni fa, il Consiglio dei Diaconi e coloro che prestano la propria opera nella nostra Chiesa elaborarono una filosofia dell’ufficio sacerdotale e stilarono una dichiarazione di priorità, al fine di rispondere alle domande: perché esistiamo? Qual è la nostra missione? La risposta fu che la nostra Chiesa ha tre priorità, una che riguarda Dio, una relativa ai credenti e l’ultima concernente i non credenti.

Esistiamo per amare Dio, per aver cura l’uno dell’altro, per evangelizzare il mondo, e tutto ciò a gloria del Signore. Due anni fa tenni un sermone in cui trattai queste tre priorità, perché eravamo tutti della forte opinione che quanto più chiara ci fosse stata la ragione per cui esistiamo, tanto più intelligente e spontaneo e decisivo sarebbe stato il nostro contributo alla causa.

La necessità di ravvivare il ricordo

Ma il tempo è intanto trascorso. E, per la potente legge dell’imperfezione della natura umana, la missione comincia a offuscarsi, gli obiettivi si fanno sempre più indistinti e lo slancio del pensiero strategico scivola gradualmente in un atteggiamento di conservazione dell’esistente. Penso che ciò non sia accaduto a Betlemme. Ma accadrà se non ci sforziamo di mantenere vivo il nostro senso di missione e se non continuiamo a riflettere sulle ragioni per cui esistiamo.

L’obiettivo per le prossime tre domeniche è, pertanto, ravvivare il ricordo del motivo per cui esistiamo e lasciare che siano le Scritture a svelare per noi il significato delle nostre tre priorità. La mia speranza è descrivere la missione di Betlemme in modo tale che ogni membro sia in grado di riformularla chiaramente per sé e per gli altri in poche semplici frasi, chiarendo a quali versetti della Bibbia fa riferimento.

Modi nuovi per dire cose vecchie

La missione non è cambiata negli ultimi quattro anni, ma abbiamo trovato un nuovo vocabolario per esprimere le cose di allora in modo diverso. E ritengo che questo sia positivo non solo per mantenere fresco il nostro senso di missione, ma anche per conservare intatta la centralità di Dio, cosa per noi importantissima.

Il modo in cui esponiamo la missione della Chiesa in questi giorni è che la Chiesa di Betlemme è una visione di Dio e il motivo per cui esistiamo è gustare quella visione, infonderla e diffonderla. Si tratta delle tre “vecchie” priorità che costituiscono la nostra ragione di esistere.

Conservare la centralità di Dio

Il grande vantaggio di descrivere la nostra missione in questi termini è che Dio ne è sempre l’esplicito centro. Egli non è centrale solamente nell’atto verticale del rendergli grazie. É centrale anche nell’atto orizzontale della cura e dell’evangelizzazione. Il nostro obiettivo è non perdere mai di vista che “da lui, per mezzo di lui e in vista di lui sono tutte le cose.“ (Romani 11:36), che “in lui viviamo, ci muoviamo e siamo“ (Atti 17:28) e che tutto ciò che facciamo, se mangiamo o beviamo o gli rendiamo grazie o lavoriamo o portiamo testimonianza, va fatto per la gloria sua.

Il piano per le prossime tre domeniche

Per tre settimane, quindi, vogliamo parlare di queste tre priorità della Chiesa: gustare la visione di Dio nel rendergli grazie, infondere la visione di Dio con la cura e l’insegnamento, e diffondere la visione di Dio mediante l’evangelizzazione e le missioni.

Invece di usare separatamente le domeniche per sviluppare questa visione, ho deciso di organizzare il lavoro in modo tale che ogni settimana siano i testi stessi a portare alla luce alcune delle sue caratteristiche. In un certo senso, i messaggi del mattino e della sera sono destinati a perfezionare questa visione. Oggi, perciò, ci rivolgiamo al salmo 63, con la speranza che almeno i primi otto versetti di esso ci illustrino la priorità di ... gustare la visione di Dio.

Davide nel deserto

Il salmo inizia con il titolo: “Salmo di Davide, quando era nel deserto di Giuda”. Nel versetto 9 egli nomina “quelli che cercano la mia vita per distruggerla”. Davide è, quindi, con ogni probabilità un fuggiasco. Qualcuno lo sta inseguendo nel deserto.

Il nostro pensiero corre ai giorni in cui re Saul dava la caccia a Davide nel deserto, per ucciderlo. Ma il versetto 11 porta l’attenzione su un periodo successivo. Esso, infatti, si riferisce a Davide già come a un re. “Ma il re si rallegrerà in DIO; chiunque giura per lui si glorierà, perché la bocca dei bugiardi verrà costretta al silenzio.” Nel periodo in cui Saul dava la caccia a Davide, però, quest’ultimo non era ancora re.

Ci fu un tempo, tuttavia, in cui Davide, già re, fuggiva dalla sua propria terra per rifugiarsi nel deserto. Era il tempo in cui suo figlio Assalonne, ribellatosi al dominio del padre, cercava di rovesciare il trono di Davide. Il secondo libro di Samuele 15:23 narra che Davide, allora, fuggì dalla città, passò il torrente Kidron e si rifugiò nel deserto. É questa la vicenda che, con ogni probabilità, costituisce lo sfondo del salmo.

“O DIO, tu sei il mio DIO”

Davide si trova, quindi, nel deserto e dà avvio al suo salmo: “O DIO, tu sei il mio DIO”. Queste parole sono importanti per diversi motivi.

Un uomo che ha un rapporto personale con Dio

In primo luogo, appare chiaro il fatto terribilmente importante che questo cercare Dio, questo essere assetati di Lui, elemento che incontreremo tra poco, non è la ricerca di un uomo che non ha familiarità con Dio. Non è la ricerca di un uomo che non è in rapporto personale con Dio.

Al contrario, l’invocazione “O DIO, tu sei il mio DIO” testimonia profondamente che tra Davide e Dio vi è un patto, basato sul giuramento di Dio. In Genesi 17:7, Dio dice ad Abramo: “E stabilirò il mio patto fra me e te, e i tuoi discendenti dopo di te, di generazione in generazione; sarà un patto eterno, impegnandomi ad essere il DIO tuo e della tua discendenza dopo di te ... e sarò il loro DIO.”

Quando Davide esclama: “O DIO, tu sei il mio DIO”, quel che egli afferma è che c’è solida roccia sotto le sabbie mobili delle sue emozioni. Quando grida: “O DIO, tu sei il mio DIO”, non significa che gli spasimi di un’anima assetata di Dio non lo affliggono. Quando dice “O DIO, tu sei il mio DIO”, intende asserire almeno due cose:

  1. Quando è assettato, cercherà di spegnere la sua sete in Dio solamente e in null’altro: “O DIO, tu sei il mio DIO”.
  2. Quando cerca Dio, Dio è lì, ad appagare i suoi bisogni. “O DIO, tu sei il mio DIO”.

E tu, sei come Davide?

Sei come Davide questa mattina? Quando eventi tragici e dolorosi ti sospingono nel deserto, quando annaspi nelle sabbie mobili delle tue stesse emozioni, sei capace di invocare a gran voce, tra sciacalli e serpenti “O DIO, tu sei il mio DIO”? Il patto è ancora valido! C’è roccia sotto i tuoi piedi ed essa si ergerà in tempo per salvarti.

Hai costruito un patto con Dio questa mattina?

E se ti chiedi: “Ma cos’è, ma com’è questo patto?”, permettimi di leggerti le parole di un uomo che strinse un’alleanza con Dio quando aveva diciannove anni. L’uomo era Jonathan Edwards e, a distanza di alcuni anni da quando era avvenuta, descrisse in questi termini la sua esperienza:

Il 12 gennaio 1723 mi offrii solennemente a Dio e misi per iscritto la mia consacrazione; intendevo consegnare me stesso, e tutto ciò che possedevo, a Dio; non essere per il futuro, in alcun senso, mio; agire come uno che non ha in nessun modo diritti su di sé. E mi ripromisi solennemente di prendere Dio come mio tutto e mia felicità; di non guardare a null’altro come parte della mia contentezza, né di agire come se lo fosse; e di assumere la sua legge come regola costante della mia obbedienza: impegnandomi a lottare contro il mondo, la carne e il demonio, sino alla fine della mia vita. (Racconto personale)

Hai stabilito un patto, un impegno definitivo con Dio? Hai mai incontrato sul tuo cammino Gesù Cristo mentre veniva a cercarti sul sentiero della ribellione e hai mai trovato nelle sue mani una dichiarazione di amnistia da parte di Dio, firmata con il suo stesso sangue, il sangue del patto? E hai mai guardato Cristo negli occhi e lo hai sentito dire: “Il Re cancellerà il tuo debito e perdonerà la tua ribellione e ti accoglierà nel suo regno, se ti inginocchierai a lui e gli giurerai per sempre fede e lealtà?”

Ti sei mai inginocchiato come Jonathan Edwards e hai mai pronunciato questo giuramento: “O Dio, con fede e lealtà d’ora innanzi tu sei il mio Dio.”? Ti esorto a farlo questa stessa mattina, mentre mi stai ascoltando ... ed esorto tutti voi a riaffermare le vostre promesse di alleanza.

Il salmo è costruito su questo fondamento

La ragione per cui oggi mi soffermo tanto a lungo su questa prima frase è che il resto del salmo è costruito sul fondamento delle sue parole. Senza questa roccia sotto i nostri piedi, non c'è nessuna vera devozione per Dio.

Ma una volta stabilito questo fondamento, ciò che emerge nel salmo è che Dio viene gustato in almeno due modi e che il rendergli grazie richiede, di conseguenza, almeno due forme. I versetti 1-4 ci dicono che Dio si gusta quando si è assetati di lui. E i versetti 5-9 descrivono, invece, il gustare Dio nella gioia. In altre parole, nei versetti 1-4 la visione di Dio non è chiara, viva o appagante e Davide si strugge per essa. Nei versetti 5–9, invece, la visione di Dio è viva e ricca e Davide se ne sazia con grande soddisfazione.

Lo struggimento e la gioia di Davide

Desidero che questa mattina comprendiate bene questo concetto, perché è così importante per capire i moti della vostra anima redenta. Si rende grazie e si onora e si gusta Dio sia quando si anela a lui sia quando si gioisce in lui. Ricordatevene, per favore! Non si tratta di un intelligente gioco di parole dall’aria sermoneggiante. È un concetto che emerge dal testo stesso!

Il versetto 1 della Nuova Riveduta recita: “O DIO, tu sei il mio DIO, io ti cerco al mattino; l'anima mia è assetata di te a te anela la mia carne in terra arida e riarsa, senz'acqua.”. Ed ecco che viene il Signore del patto. La roccia si solleva per raggiungere i piedi di Davide. Il banchetto della sua gloria si stende davanti agli occhi della fede e Davide afferma: “L'anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso.”.

Dio è amato, onorato e gustato sia quando aneliamo a lui sia quando con lui gioiamo. Quando Dio è distante, il nostro modo di rendergli grazie è anelare a lui; quando invece ci è vicino, la nostra forma di devozione è la gioia. Il cuore che ama Dio sopra ogni altra cosa prova brama, desiderio, struggimento, anelito e nostalgia di Dio, quando la visione di lui è lontana e indistinta. E questo stesso cuore sente gioia e appagamento quando la visione di lui si avvicina e si fa chiara.

Questo è per noi un grande aiuto, quando ci svegliamo nel deserto. E alcuni di noi è lì che si svegliano ogni giorno.

Permettetemi solo di fare altre due considerazioni basate su questo testo, per il bene della nostra vita di devozione qui alla Chiesa di Betlemme e con l’obiettivo prioritario di gustare la visione di Dio.

L’essenza del vero rendere grazie a Dio

La prima considerazione è che, anche se l’amore per Dio implica espressioni di gratitudine rivolte a lui per i suoi doni, non è questa l'essenza della vera devozione. Esistono, infatti, espressioni di gratitudine a Dio per i doni che ci ha concesso, in cui non vi è traccia di vera devozione. In altre parole, ci sono persone che amano la propria salute e famiglia e lavoro e svaghi, e ringraziano spesso Dio per tutto ciò, ma costoro non amano Dio. Non gustano Dio. E quando non si gusta Dio per la sua dolcezza e perfezione, non gli si rende veramente grazie.

Desiderare Dio vale più della vita

Davide comunica con chiarezza questo concetto quando nei versetti 1 e 3 descrive il suo desiderio di Dio. Nel versetto 1 egli afferma :”O DIO, tu sei il mio DIO, io ti cerco al mattino; l'anima mia è assetata di te a te anela la mia carne.”. Non si tratta qui di una sete dei doni di Dio, ma di una sete di Dio. Davide ama Dio di un amore grandissimo. Ama la compagnia di Dio.

Tutto ciò è reso ancora più esplicito nel versetto 3: “Poiché la tua benignità vale più della vita, le mie labbra ti loderanno”. Questo significa che Davide desiderava Dio più della sua stessa vita. E se ami Dio più della vita, allora desideri Dio più di tutte le gioie di questa vita: famiglia, salute, cibo, amicizia, rapporti sessuali, soddisfazione sul lavoro, produttività, libri, giochi, computer, musica, case, tramonti, colori dell'autunno. Quando Davide sostiene che l'amore di Dio vale più della vita e, di conseguenza, vale più di tutte le bellezze che la vita conduce con sé, non sta negando che tutte queste cose buone vengono dall'amore di Dio.

Egli ci sta avvertendo che se i nostri cuori si posano (anche colmi di gratitudine!) sulla bellezza del dono piuttosto che sull’infinitamente più grande bellezza di Colui che dona, allora siamo idolatri e non adoratori di Dio.

Perché abbiamo bisogno del deserto

Mi chiedo se è questo il motivo per cui non possiamo fare a meno dell’esperienza esistenziale del deserto. Se l’intera vita fosse un paradiso, e molti credono che dovrebbe esserlo e cercano di renderla tale, non svilupperemmo, allora, ancora più frequentemente una dipendenza dai doni di Dio, piuttosto che da Dio stesso? É di certo questa la ragione per cui Gesù dichiarò che difficilmente un ricco può entrare nel regno di Dio. E di sicuro questo è il motivo per cui Egli continua a condurre coloro che ama nel deserto infuocato. Egli vuole che il mondo ci appaia come un’illusione, comunicandoci al contempo il sapore dell’eternità.

E non pensate che sia stato facile per Davide rinunciare ai doni di Dio. Non erano trascorsi molti giorni da quando la ribellione di Gerusalemme era stata sedata e Assalonne era stato ucciso dalle frecce di Joab, che nelle sue stanze Davide così si doleva: “O mio figlio Assalonne; mio figlio, mio figlio Assalonne! Fossi morto io al tuo posto, o Assalonne figlio mio, figlio mio!” (2 Samuele 18:33).

Il deserto è lo strumento che Dio usa per farci disabituare alle più preziose cose del mondo. E chi gusta la visione di Dio sa che il suo amore vale più di tutto ciò che questa vita può offrire.

L’importanza del culto comunitario

L’ultimo elemento su cui desidero porre l’attenzione in questo salmo è l’importanza del culto comunitario per la vita dell’anima. Riuscite a comprendere dalla lettura del versetto 2, quale funzione abbia avuto per Davide il culto espresso nel Tempio, quand’egli era nel deserto?

La funzione del culto comunitario nella vita di Davide

Egli dice: “Così ti ho ammirato nel santuario, contemplando la tua forza e la tua gloria.”. Che cosa significano queste parole? Significano che quando Davide si trovava nel deserto, escluso dalla comunità dei fedeli del Tempio, era il ricordo limpido e forte dell’esperienza del culto comunitario che gli rendeva Dio ancora vicino e che gli permetteva di gioire di lui anche nel deserto.

Né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento l’atto di rendere grazie a Dio è associato a un edificio specifico. Ma sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento Dio ha benedetto la regolare assemblea dei suoi fedeli con la visione della sua forza e della sua gloria. È questa la visione che nutre le nostre anime la domenica mattina e che anche nel deserto ci serve a ricordare che Dio è veramente grande e ci fa anelare alla sua forza e alla sua gloria.

Le implicazioni del nostro culto comunitario

Mi piacerebbe che ci fosse abbastanza tempo per illustrare tutte le implicazioni che ciò ha per il nostro culto comunitario. Ma bastino queste poche parole di chiusura. Quando si comprende che l’essenza del culto è gustare Dio in modo schietto e puro e, assetati o brucianti, anelare a lui o di lui gioire, allora non possiamo più trattare questo tema con leggerezza. Il culto comunitario diventa, al contrario, il centro della nostra vita e si costruisce tutto attorno a Dio, divenendo una questione profonda e seria. Per la maggior parte delle persone il culto comunitario è l'unica ora della settimana in cui porsi con silenziosa riverenza e soggezione dinanzi alla forza e alla gloria di Dio.

Cosa facciamo per aiutarti a rendere grazie a Dio come fece Davide

Facciamo, pertanto, il possibile per aiutare i fedeli a cercare Dio incessantemente, come già fece Davide nel deserto.

Esercitare le nostre menti e i nostri cuori affinché siano rivolti a Dio

La maggior parte di noi è cresciuta in ambienti in cui non si prendeva sul serio una fede intensamente rivolta a Dio. La maggior parte delle persone va in chiesa con una mentalità di cosiddetto “intrattenimento passivo” e, quindi, tranne che nei momenti più coinvolgenti, la loro mente tende a vagare senza meta da un pensiero umano all’altro. Ed è del tutto assente l’idea di esercitare uno sforzo per dirigere a Dio l’attenzione della mente e le emozioni del cuore. Si deve, pertanto, fare tesoro di ciò di cui Davide parla nel versetto 2. “Così ti ho ammirato nel santuario, contemplando la tua forza e la tua gloria”.

Possa il Signore concederci la passione di rendergli grazie qui alla Chiesa di a Betlemme e di onorare così il primo e il più importante passo della nostra missione, quello cioè di gustare la visione di Dio.