Il più grande avvenimento della storia

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''<br> I due paradossi della morte di Cristo''
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Non è certo sorprendente che il più grande avvenimento della storia mondiale sia complesso.  
Non è certo sorprendente che il più grande avvenimento della storia mondiale sia complesso.  
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1) Per esempio, dal momento che Gesù Cristo è uomo e Dio in una sola persona, la sua morte è stata la morte di Dio? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo parlare della natura duale di Cristo, umana e divina. La definizione di Calcedonia delle due nature di Cristo in una sola persona viene accettata come insegnamento ortodosso delle Scritture sin dal 451 d.C.  
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1) Per esempio, dal momento che Gesù Cristo è uomo e Dio in una sola persona, la sua morte è stata la morte di Dio? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo parlare della natura duale di Cristo, umana e divina. La definizione di Calcedonia delle due nature di Cristo in una sola persona viene accettata come insegnamento ortodosso delle Scritture sin dal 451 d.C. Il Concilio di Calcedonia afferma:  
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<blockquote>Noi insegnamo a confessare… che si deve riconoscere l’uno e medesimo Cristo Unigenito, Figlio e Signore sussistente nelle due nature in modo inconfuso, immutabile, indiviso, inseparabile, non essendo in alcun modo soppressa la differenza delle nature a causa dell’unione, anzi rimanendo salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, coincidente in una Persona e una Sussistenza, non separata, né divisa in due persone, bensì l’uno e medesimo Figlio e Unigenito, Dio, Verbo, Signore Gesù Cristo. </blockquote>
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Il Concilio di Calcedonia afferma:  
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La natura divina è immortale (Romani 1,23; Timoteo 1,17), non può morire. È parte di ciò che significa l’essere Dio. Perciò, quando Cristo morì, fu la sua natura umana a patire la morte. Il mistero dell’unione tra la natura divina e quella umana nell’esperire la morte non ci viene rivelato. Sappiamo che Cristo morì e nello stesso giorno salì in Paradiso (“''Oggi'' sarai con me in Paradiso”, Luca 23,43). Pare dunque vi fosse coscienza della morte, cosicché non fu necessario interrompere l’unione presente tra natura umana e divina, sebbene Cristo, nella propria natura umana soltanto, fosse morto.  
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Noi insegnamo a confessare… che si deve riconoscere l’uno e medesimo Cristo Unigenito, Figlio e Signore sussistente nelle due nature in modo inconfuso, immutabile, indiviso, inseparabile, non essendo in alcun modo soppressa la differenza delle nature a causa dell’unione, anzi rimanendo salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, coincidente in una Persona e una Sussistenza, non separata, né divisa in due persone, bensì l’uno e medesimo Figlio e Unigenito, Dio, Verbo, Signore Gesù Cristo.  
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La natura divina è immortale (Romani 1,23; Timoteo 1,17), non può morire. È parte di ciò che significa l’essere Dio. Perciò, quando Cristo morì, fu la sua natura umana a patire la morte. Il mistero dell’unione tra la natura divina e quella umana nell’esperire la morte non ci viene rivelato. Sappiamo che Cristo morì e nello stesso giorno salì in Paradiso (“Oggi sarai con me in Paradiso”, Luca 23,43). Pare dunque vi fosse coscienza della morte, cosicché non fu necessario interrompere l’unione presente tra natura umana e divina, sebbene Cristo, nella propria natura umana soltanto, fosse morto.  
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2) Un altro esempio della complessità della morte di Cristo è come questa sia stata esperita da Dio Padre. Il più diffuso insegnamento evangelico dice che la morte di Cristo è l’esperienza di Cristo della maledizione del Padre: “Cristo ci riscattò dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi, poiché sta scritto: “Maledetto chiunque è appeso a un legno” (Galati 3,13). La maledizione di chi? Si potrebbe mitigarla definendola “la maledizione della legge”, ma la legge non è persona che possa maledire. Una maledizione è tale se vi è chi maledice. Chi maledice tramite la legge è Iddio, che la legge scrisse. Dunque la morte di Cristo per i nostri peccati e la nostra disobbedienza alla legge fu l’esperienza della maledizione del Padre.  
2) Un altro esempio della complessità della morte di Cristo è come questa sia stata esperita da Dio Padre. Il più diffuso insegnamento evangelico dice che la morte di Cristo è l’esperienza di Cristo della maledizione del Padre: “Cristo ci riscattò dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi, poiché sta scritto: “Maledetto chiunque è appeso a un legno” (Galati 3,13). La maledizione di chi? Si potrebbe mitigarla definendola “la maledizione della legge”, ma la legge non è persona che possa maledire. Una maledizione è tale se vi è chi maledice. Chi maledice tramite la legge è Iddio, che la legge scrisse. Dunque la morte di Cristo per i nostri peccati e la nostra disobbedienza alla legge fu l’esperienza della maledizione del Padre.  
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Ecco perché Gesù disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27,46). In Cristo morente Dio riversò i peccati della sua gente (Isaia 53,6) che gli erano odiosi. E nell’odio verso il peccato, Dio si allontanò dal Figlio carico dei peccati, lasciandolo a soffrire la piena forza della morte e della maledizione. L’ira del Padre si rovesciò su di lui invece che su di noi, cosicché la sua ira verso di noi fu “propiziata” (Romani 3,25) e rimossa.  
Ecco perché Gesù disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27,46). In Cristo morente Dio riversò i peccati della sua gente (Isaia 53,6) che gli erano odiosi. E nell’odio verso il peccato, Dio si allontanò dal Figlio carico dei peccati, lasciandolo a soffrire la piena forza della morte e della maledizione. L’ira del Padre si rovesciò su di lui invece che su di noi, cosicché la sua ira verso di noi fu “propiziata” (Romani 3,25) e rimossa.  
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E qui sta il paradosso. Dio approvò intimamente e gioiosamente come il Figlio agì nell’ora del sacrificio. Anzi, aveva progettato il tutto con il Figlio. E il suo amore per il Dio-Uomo, Gesù Cristo, era dovuto a quell’obbedienza che portò Gesù sulla croce. La croce fu l’atto supremo dell’obbedienza e dell’amore di Gesù. E tali obbedienza e amore il Padre approvò, e ne gioì intimamente. Perciò Paolo scrive queste straordinarie parole: “Cristo ci ha amati e per noi ha dato se stesso a Dio in oblazione e in sacrificio, qual profumo d’odor soave” (Efesini 5,2). La morte di Cristo fu per Iddio profumo d’odor soave.  
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E qui sta il paradosso. Dio approvò intimamente e gioiosamente come il Figlio agì nell’ora del sacrificio. Anzi, aveva progettato il tutto con il Figlio. E il suo amore per il Dio-Uomo, Gesù Cristo, era dovuto a quell’obbedienza che portò Gesù sulla croce. La croce fu l’atto supremo dell’obbedienza e dell’amore di Gesù. E tali obbedienza e amore il Padre approvò, e ne gioì intimamente. Perciò Paolo scrive queste straordinarie parole: “Cristo ci ha amati e per noi ha dato se stesso a Dio in oblazione e in sacrificio, ''qual profumo d’odor soave''” (Efesini 5,2). La morte di Cristo fu per Iddio profumo d’odor soave.  
Dunque abbiamo qui una più gloriosa complessità. La morte di Cristo fu la maledizione di Dio e l’ira di Dio, eppure, al tempo stesso, fu gradita a Dio quale soave profumo. Pur se allontanatosi dal Figlio, lasciandolo a morire carico dei nostri peccati, Dio si dilettò della sua obbedienza, del suo amore e della sua perfezione.  
Dunque abbiamo qui una più gloriosa complessità. La morte di Cristo fu la maledizione di Dio e l’ira di Dio, eppure, al tempo stesso, fu gradita a Dio quale soave profumo. Pur se allontanatosi dal Figlio, lasciandolo a morire carico dei nostri peccati, Dio si dilettò della sua obbedienza, del suo amore e della sua perfezione.  
Contempliamo dunque la morte di Gesù Cristo, il Figlio di Dio con timore reverenziale e gioia trepidante. Nella storia non c’è un avvenimento più grande. Non c’è nulla di più grande su cui riflettere nella nostra mente, o ammirare nel nostro cuore. Tenetela stretta a voi. Tutto ciò che vi è di rilevante e buono si racchiude qui. È un luogo saggio e importante e felice in cui trovarsi.
Contempliamo dunque la morte di Gesù Cristo, il Figlio di Dio con timore reverenziale e gioia trepidante. Nella storia non c’è un avvenimento più grande. Non c’è nulla di più grande su cui riflettere nella nostra mente, o ammirare nel nostro cuore. Tenetela stretta a voi. Tutto ciò che vi è di rilevante e buono si racchiude qui. È un luogo saggio e importante e felice in cui trovarsi.

Versione corrente delle 23:59, 22 ott 2009

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English: The Greatest Event in History

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Di John Piper su La morte di Cristo
Una parte della serie Taste & See

Traduzione di Porzia Persio

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I Due Paradossi Della Morte di Cristo

Non è certo sorprendente che il più grande avvenimento della storia mondiale sia complesso.

1) Per esempio, dal momento che Gesù Cristo è uomo e Dio in una sola persona, la sua morte è stata la morte di Dio? Per poter rispondere a questa domanda, dobbiamo parlare della natura duale di Cristo, umana e divina. La definizione di Calcedonia delle due nature di Cristo in una sola persona viene accettata come insegnamento ortodosso delle Scritture sin dal 451 d.C. Il Concilio di Calcedonia afferma:

Noi insegnamo a confessare… che si deve riconoscere l’uno e medesimo Cristo Unigenito, Figlio e Signore sussistente nelle due nature in modo inconfuso, immutabile, indiviso, inseparabile, non essendo in alcun modo soppressa la differenza delle nature a causa dell’unione, anzi rimanendo salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, coincidente in una Persona e una Sussistenza, non separata, né divisa in due persone, bensì l’uno e medesimo Figlio e Unigenito, Dio, Verbo, Signore Gesù Cristo.

La natura divina è immortale (Romani 1,23; Timoteo 1,17), non può morire. È parte di ciò che significa l’essere Dio. Perciò, quando Cristo morì, fu la sua natura umana a patire la morte. Il mistero dell’unione tra la natura divina e quella umana nell’esperire la morte non ci viene rivelato. Sappiamo che Cristo morì e nello stesso giorno salì in Paradiso (“Oggi sarai con me in Paradiso”, Luca 23,43). Pare dunque vi fosse coscienza della morte, cosicché non fu necessario interrompere l’unione presente tra natura umana e divina, sebbene Cristo, nella propria natura umana soltanto, fosse morto.

2) Un altro esempio della complessità della morte di Cristo è come questa sia stata esperita da Dio Padre. Il più diffuso insegnamento evangelico dice che la morte di Cristo è l’esperienza di Cristo della maledizione del Padre: “Cristo ci riscattò dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi, poiché sta scritto: “Maledetto chiunque è appeso a un legno” (Galati 3,13). La maledizione di chi? Si potrebbe mitigarla definendola “la maledizione della legge”, ma la legge non è persona che possa maledire. Una maledizione è tale se vi è chi maledice. Chi maledice tramite la legge è Iddio, che la legge scrisse. Dunque la morte di Cristo per i nostri peccati e la nostra disobbedienza alla legge fu l’esperienza della maledizione del Padre.

Ecco perché Gesù disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27,46). In Cristo morente Dio riversò i peccati della sua gente (Isaia 53,6) che gli erano odiosi. E nell’odio verso il peccato, Dio si allontanò dal Figlio carico dei peccati, lasciandolo a soffrire la piena forza della morte e della maledizione. L’ira del Padre si rovesciò su di lui invece che su di noi, cosicché la sua ira verso di noi fu “propiziata” (Romani 3,25) e rimossa.

E qui sta il paradosso. Dio approvò intimamente e gioiosamente come il Figlio agì nell’ora del sacrificio. Anzi, aveva progettato il tutto con il Figlio. E il suo amore per il Dio-Uomo, Gesù Cristo, era dovuto a quell’obbedienza che portò Gesù sulla croce. La croce fu l’atto supremo dell’obbedienza e dell’amore di Gesù. E tali obbedienza e amore il Padre approvò, e ne gioì intimamente. Perciò Paolo scrive queste straordinarie parole: “Cristo ci ha amati e per noi ha dato se stesso a Dio in oblazione e in sacrificio, qual profumo d’odor soave” (Efesini 5,2). La morte di Cristo fu per Iddio profumo d’odor soave.

Dunque abbiamo qui una più gloriosa complessità. La morte di Cristo fu la maledizione di Dio e l’ira di Dio, eppure, al tempo stesso, fu gradita a Dio quale soave profumo. Pur se allontanatosi dal Figlio, lasciandolo a morire carico dei nostri peccati, Dio si dilettò della sua obbedienza, del suo amore e della sua perfezione.

Contempliamo dunque la morte di Gesù Cristo, il Figlio di Dio con timore reverenziale e gioia trepidante. Nella storia non c’è un avvenimento più grande. Non c’è nulla di più grande su cui riflettere nella nostra mente, o ammirare nel nostro cuore. Tenetela stretta a voi. Tutto ciò che vi è di rilevante e buono si racchiude qui. È un luogo saggio e importante e felice in cui trovarsi.