Fratelli, Esaminiamo il Testo

Da Libri e Sermoni Biblici.

Versione delle 01:51, 2 dic 2009, autore: Steffmahr (Discussione | contributi)
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Di John Piper su Il Ministero Pastorale

Traduzione di Ilaria Feltre

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Se la Bibbia è coerente, capire la Bibbia significa comprendere come le cose combacino. Diventare teologo biblico vuol dire vedere sempre piú pezzi incastrarsi l’uno con l’altro, in un glorioso mosaico di volere divino. E fare esegesi significa esaminare il testo e capire come le sue diverse proposizioni siano coerenti nella mente dell’autore.

Se vogliamo nutrire la nostra gente, dobbiamo progredire sempre di piú nella nostra comprensione della verità biblica. E, per progredire nella comprensione della verità biblica, dobbiamo farci turbare dalle affermazioni bibliche.

Ci deve dare fastidio che Giacomo e Paolo sembrino non essere d’accordo. È solo quando siamo turbati e infastiditi che riflettiamo con attenzione. E, se non riflettiamo con attenzione su come le affermazioni bibliche concordino, non scaveremo mai fino alla loro radice commune, e non scopriremo mai la bellezza dell’uniforme verità divina. Il risultato finale sarà che la nostra lettura della Bibbia diventerà insipida, faremo ricorso ad affascinanti “letture secondarie”, i nostri sermoni saranno un impacciato lavoro “di seconda mano”, e la gente soffrirà la fame.

“Non pensiamo mai, fino a quando non ci si presenta un problema”, disse John Dewey. Aveva ragione. Ed è questo il motivo per cui non riflettiamo mai con attenzione sulla verità biblica, fino a quando non veniamo turbati dalla sua complessità.

Dobbiamo coltivare l’abitudine di farci sistematicamente turbare dalle cose che a prima vista sembrano non avere senso. O, per formularla in modo diverso, dobbiamo inesorabilmtente esaminare il testo. Uno dei piú grandi onori che io abbia ricevuto mentre insegnavo a Bethel fu quando gli assistenti all’insegnamento del dipartimento biblico mi diedero una maglietta sulla quale erano scritte le iniziali di Jonathan Edwards sul davanti, e sulla schiena le parole: “Porre domande è la chiave per capire”.

Ma vi sono diverse potenti forze che si oppongono alla nostra implacabile e sistematica interpellanza dei testi biblici. Una è che essa ci fa consumare una grande quantità di tempo ed energia su una piccola parte delle Scritture. Ci è stato [piuttosto erroneamente] insegnato che esiste una diretta correlazione fra il leggere molto e l’acquisire discernimento. Ma in effetti non vi è alcuna correlazione positiva fra la quantità di pagine lette e la qualità del discernimento acquisito. Tutto il contrario. Eccezion fatta per alcuni geni, il discernimento diminuisce se cerchiamo di leggere sempre di piú. Il discernimento, o comprensione, è il prodotto di intense meditazioni da far venire il mal di testa su due o tre versi, e su come essi concordino l’uno con l’altro. Questo tipo di riflessione e ruminazione viene provocata dal porre domande al testo. E ciò non si può fare se si è di fretta. Dobbiamo quindi resistere all’ingannevole impulso di fare tacche sulla nostra pistola bibliografica. Passate due ore a porre dieci domande su Galati 2:20, e acquisirete cento volte il discernimento che avreste ottenuto leggendo 30 pagine del Nuovo Testamento o qualsiasi altro libro. Rallentate. Esaminate. Riflettete. Masticate.

Un’altra ragione per cui è difficile trascorrere ore a scovare le radici della coerenza è che al giorno d’oggi è fondamentalmente insolito sistematizzare e cercare armonia e unità. Questa nobile ricerca sta attraversando momenti difficili, per via del fatto che cosí tanta armonia artificiale è stata scoperta da difensori della Bibbia impazienti e nervosi. Ma, se la mente di Dio è veramente coerente e non confusa, l’esegesi deve mirare a vedere la coerenza della rivelazione biblica e la profonda unità della verità divina. A meno che non vogliamo dilettarci eternamente con la superficialità delle cose (paghi del rivelare “tensioni” e “difficoltà”), dobbiamo resistere alle atomistiche (e fondamentalmente anti-intellettuali) tendenze nell’istituzione teologica contemporanea. Si passa troppo tempo a correggere i fallimenti passati, e troppo poco tempo a costruire.

Una terza forza che si oppone all’impegno di porre domande alla Bibbia è la seguente: porre domande è uguale al porre problemi, e per tutta la vita siamo stati dissuasi dal trovare problemi all’interno del Sacro Libro di Dio.

È impossibile rispettare troppo la Bibbia, ma è possibilissimo rispettarla in maniera erronea. Se non chiediamo seriamente come testi che differiscono possano concordare l’uno con l’altro, siamo o superumani (ed afferriamo tutta la verità al primo sguardo) o indifferenti (e non ci interessa vedere piú verità). Ma non vedo come chiunque sia indifferente o superumano possa avere il dovuto rispetto per la Bibbia. La riverenza per la Parola di Dio richiede quindi che noi poniamo domande e problemi e che crediamo che esistano risposte e soluzioni che ricompenseranno le nostre fatiche con “tesori nuovi e vecchi” (Matteo 13:52).

Dobbiamo insegnare alla nostra gente che non è irriverente trovare difficoltà nel testo biblico, e che si deve riflettere con attenzione su come esse possano essere risolte.

Io non accuso mio figlio di 6 anni Benjamin di essere irriverente, quando non riesce a capire un verso della Bibbia e mi chiede di spiegarglielo. Sta imparando a leggere. Ma le nostre capacità di leggere sono state perfezionate? Può chiunque di noi con una sola lettura afferrare la logica di un paragrafo e vedere come ogni parte si relazioni alle altre, e come tutte concordino, per formare un unico concetto? Ancor meno se pensiamo ad un’intera epistola, al Nuovo Testamento, alla Bibbia! Se abbiamo a cuore la verità, dobbiamo inesorabilmente esaminare il testo e sviluppare l’abitudine di essere turbati dalle cose che leggiamo.

Questo è appunto l’opposto dell’irriverenza. È quello che facciamo se desideriamo avere la mente di Cristo. Niente ci fa inoltrare piú profondamente nei consigli di Dio che notare apparenti discrepanze teologiche nella Bibbia, e riflettervi sopra giorno e notte, finché esse non si incastrano in un emergente sistema di verità unificata. Un anno fa, ad esempio, mi sforzai per giorni di capire come Paolo potesse da un lato dire “Non angustiatevi di nulla” (Filippesi 4:6), e dall’altro (apparentemente senza impunità) sostenere che le sue “preoccupazioni [...] da tutte le chiese” fossero per lui causa di quotidiana pressione (2 Corinzi 11:28). Come poteva dire “Siate sempre gioiosi” (1 Tessalonicesi 5:16), e “Piangete con quelli che piangono” (Romani 12:15)? Come poteva esortarci a rendere grazie “continuamente per ogni cosa” (Efesini 5:20), e poi ammettere: “ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore” (Romani 9:2)?

Piú recentemente mi sono chiesto: Cosa significa il fatto che Gesú disse in Matteo 5:39 di porgere l’altra guancia quando veniamo percossi, mentre in Matteo 10:23 proferì le seguenti parole: “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite...”? Quando si deve fuggire, e quando invece si devono tollerare i patimenti e porgere l’altra guancia? Ho anche riflettuto e mi sono domandato in quale senso sia vero che Dio è “lento all’ira” (Esodo 34:6) e in che senso la sua ira possa divampare improvvisamente (Salmo 2:12).

Vi sono centinaia e centinaia di tali apparenti discrepanze nelle Sacre Scritture, e manchiamo di rispetto al testo a non notarle e a non rifletterci sopra. Dio non è un Dio di confusione. Non ha la lingua biforcuta. Esistono profonde e meravigliose soluzioni a tutti i problemi. Egli ci ha chiamati ad essere partecipi di un’eternità di scoperte, cosicché ogni mattina nei secoli a venire noi possiamo intonare nuovi inni di lode.

In 2 Timoteo 2:7, Paolo ci ha dato un comando ed una promessa. Ha comandato: “Considera quel che dico”. E ha promesso: “Il Signore ti darà intelligenza in ogni cosa”.

Come concordano l’uno con l’altro il comando e la promessa? La risposta è nella piccola parola “perché” (gar). “Considera... perché il Signore ti darà intelligenza in ogni cosa”.

La promessa non è fatta a tutti. È fatta a coloro che considerano. E noi non consideriamo fino a quando non ci troviamo di fronte ad un problema. Quindi, fratelli, esaminiamo il testo.