4 Paure Destabilizzanti

Da Libri e Sermoni Biblici.

Versione delle 13:47, 15 feb 2022, autore: Pcain (Discussione | contributi)
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English: 4 Debilitating Fears

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Di Paul Tripp su Il Ministero Pastorale

Traduzione di Susanna Giubileo

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Quattro paure tentano ogni sacerdote. Esse sono:

1. La paura di me stesso.

Poche cose rivelano il tuo completo repertorio di peccati, immaturità, debolezza e fallimenti come il sacerdozio. Poche cose sono tanto efficienti nell'esporre i tuoi punti deboli. Poche situazioni ti sottopongono a tal punto alle aspettative e al giudizio del pubblico. Poche cose sono talmente umilianti a livello personale. Poche situazioni hanno il potere di far scaturire dentro di te un senso d'inadeguatezza così profondo. Poche cose possono costituire una tale fonte d'insicurezza. La tentazione di lasciare che il sacerdozio venga sviato e danneggiato dalla paura di sé stessi è forte.

Dio sorprese Gedeone a trebbiare farina nel torchio, poiché aveva paura dei Madianiti, e si rivolse a quell'uomo così impaurito con uno dei saluti più ironici della storia della Bibbia: "Il Signore è con te, uomo di grande coraggio." Gedeone replicò, essenzialmente: "Bé, se sei dalla nostra parte, perché mai sta succedendo tutto questo?" Dio allora rispose: "Io ti ho scelto per salvare Israele dai Madianiti." E Gedeone: "Devi esserti sbagliato. Io provengo dalla tribù più debole d'Israele, e sono il più debole nella casa di mio padre. Non posso essere io quello che cerchi." E Dio disse: "Io sarò con te."

La risposta di Dio alla paura di Gedeone è di grande aiuto. Non lo costrinse a farsi coraggio da solo. Non cercò di convincerlo che valeva di più di quanto non credesse. Il problema principale di Gedeone non consisteva nel temere di essere inadeguato. Consisteva piuttosto nel non avere fede. Gedeone mancò di credere in Dio in quanto "Dio è con me, ed Egli può." Per questo era terrorizzato al pensiero di guidare Israele.

Il mio sacerdozio a Scranton, in Pennsylvania, aveva portato alla luce nella loro interezza tutta la mia immaturità e la mia debolezza, e queste si erano spesso manifestate al pubblico in modi molto dolorosi. Ero talmente convinto di essere pronto. Mi ero distinto nei seminari, ed ero deciso ad affrontare il mondo esterno. Eppure, Dio mi aveva mandato in un luogo assai povero e problematico, e lo aveva usato per strapparmi all'orgoglio e al mio atteggiamento di superiorità per portarmi a fare riferimento unicamente a Lui. Ero ferito, deluso, stanco, stravolto, arrabbiato, e alquanto amareggiato. Mi sentivo come se Dio mi avesse teso un trabocchetto, e sentivo che ero stato trattato in modo ingiusto. Volevo soltanto fuggire. Avevo una laurea, e pensavo che avrei potuto trasferirmi da qualche parte per dirigere una scuola cristiana. Avevo già comunicato alla mia congregazione l'intenzione di ritirarmi. Mi pregarono di non farlo, ma io fui inamovibile. Perciò, la domenica seguente feci il mio annuncio, e conobbi una temporanea sensazione di sollievo. La mia piccola congregazione non ne fu altrettanto sollevata, così sostenni molte discussioni dopo il servizio sacerdotale. Parecchio tempo più tardi rispetto a quando uscivo dalla chiesa di solito, feci per avviarmi alla porta; quando a un tratto mi si avvicinò l'uomo più anziano della nostra comunità sacerdotale.

Questi mi venne incontro e mi chiese se potevamo parlare. "Paul," esordì, "sappiamo che sei un po' immaturo e che devi evolvere. Sappiamo che hai delle debolezze, ma come potrà mai la Chiesa ottenere sacerdoti maturi se quelli immaturi se ne vanno?" Fu come se Dio mi avesse incollato le scarpe all'ingresso. Sapevo che aveva ragione, e sapevo di non potermene andare. Nei numerosi mesi che seguirono, iniziai a comprendere cosa significasse esprimere il servizio sacerdotale nella debolezza, ma essendo dotato di una fede in Dio che mi dava coraggio e fiducia in me stesso. Da allora, non ho ancora finito di imparare cosa voglia dire avere una tale fede in Lui da non essere più timoroso di me stesso.

2. La paura degli altri.

La maggior parte delle persone a cui si predica vi si affeziona, vi apprezza e vi incoraggia in tutti i modi possibili. Non tutti sono così, però. Alcuni vi vorranno bene e promettono uno splendido avvenire insieme. Altri si eleggeranno a giudici del vostro sacerdozio e della vostra leadership. Alcuni saranno leali e vi sosterranno, e altri agiranno in modi che danneggeranno la vostra leadership spirituale. Alcuni forniranno serviranno la comunità con atti di abnegazione disinteressata, e altri criticheranno la modalità con cui tali servigi vengono offerti. Alcuni vi si accosteranno con affetto sincero, altri cederanno alla tentazione di parlarvi alle spalle. Alcuni daranno anima e corpo per la causa, e altri si relazioneranno alla Chiesa come se fosse un bene di consumo. Sentirete affinità per alcuni più che per altri, e alcune relazioni saranno più travagliate.

Poiché il vostro sacerdozio sarà sempre un servizio reso agli altri per gli altri, è di vitale importanza che mettiate le persone giuste al giusto posto nel vostro cuore. Non permettete che la paura nei loro confronti vi chiuda la mente ai loro punti di vista o spenga la vostra volontà di predicare anche a loro. Allo stesso tempo, non siate talmente spaventati da loro da lasciare che dettino legge e prendano erroneamente il controllo della comunità a cui Dio vi ha destinato. Non potete predicare con una mente chiusa, e non potete essere tanto suggestionabili all'opinione altrui da diventare incapaci di assumere il ruolo di leader.

Dato che tutti i membri della parrocchia con cui avrete a che fare hanno i propri demoni interiori, sia il sacerdozio che le relazioni con loro saranno caotici. Verrete feriti, e il vostro sacerdozio ne soffrirà. Saranno richieste da voi cose che non dovrebbero essere richieste, e la gente reagirà come non dovrebbe. Come se non bastasse, alcune persone in particolare (le più influenti e insistenti) incomberanno sui vostri pensieri e sulle vostre motivazioni più del necessario. Sarà loro concesso troppo potere di influenzare voi e il vostro modo di amministrare il servizio sacerdotale. Anziché impegnarvi per la maggior gloria di Dio, sarete piuttosto tentati di impegnarvi per ottenere la loro approvazione. O ancora, invece di impegnarvi per la gloria di Dio, potreste tentare di sabotarle od ostacolarle. In entrambi i casi la vostra missione sarebbe corrotta da un antico, umano terrore: la paura dei nostri simili.

Il potere che la paura nei confronti dei nostri simili detiene nello sviare o tradire il sacerdozio è ritratto a colori vividi nel passo 2:11-14, tratto dalla Lettera ai Gàlati. Simon Pietro non solo era sceso a compromessi, ma aveva abbandonato la propria missione sacerdotale verso i Gàlati, ai quali lo aveva chiamato Dio (nel capitolo10 degli Atti degli Apostoli), per "timore dei circoncisi." Paolo osservò che il comportamento di Pietro non era "secondo la verità del vangelo", così andò a rimproverarlo. Quanto possono deviare dal sacerdozio le nostre azioni, i nostri interventi e le nostre reazioni se guidate non dal timor di Dio, ma dal timore dell'uomo? Quanto spesso possono compromettere la missione evangelica? Quanto spesso possono creare ostacoli per le persone intorno a noi? Quanto spesso siamo tentati di agire in modi che non vanno di pari passo con quello in cui diciamo di credere? Quanto potere ha il timore dell'uomo nelle nostre comunità? Con mente aperta e animo umile, dobbiamo continuare a porci questi interrogativi.

Vorrei poter dire di essere libero da tale paura, ma non è così. A volte, mentre preparavo il sermone, mi sono ritrovato a pensare che una determinata argomentazione avrebbe finalmente avuto la meglio su uno dei miei detrattori. La mia predica sarebbe allora stata plasmata non dall'entusiasmo verso la gloria di dio, bensì dalla speranza che qualcosa che avrei detto spingesse qualcuno a riconoscere finalmente la mia gloria personale. Comprendo che questa è una guerra perenne con il mio cuore, per la quale mi è stata concessa una potente, onnipresente grazia.

3. La paura dei contrattempi.

Poiché non siamo gli autori della nostra storia, e poiché non abbiamo scritto il copione della nostra stessa missione, tanto essa quanto la vita sono sempre imprevedibili. In questo mondo dell'inaspettato, si vive in tensione costante tra la natura di Dio e la sua promessa all'umanità e ciò che di imprevedibile potrebbe capitarci. Nella linea sottile tra promessa e realtà, bisogna mantenere il proprio giudizio. Bisogna essere molto disciplinati quando si tratta di controllare i propri pensieri. Lasciate che vi spieghi.

Abramo aveva ricevuto da Dio la notizia che i suoi discendenti sarebbero stati numerosi quanto le stelle nel cielo, e aveva programmato tutta la sua vita intorno a tale promessa. Si aspettava che sua moglie, Sara, partorisse presto, e spesso. Ma così non fu. Sara non partorì neanche una volta durante i suoi anni fertili. Ora sia lei che Abramo erano anziani; troppo anziani per credere seriamente che sarebbero stati benedetti dalla nascita dell'erede promesso. Il vecchio Abramo viveva ora in conflitto tra la promessa di Dio e il contrattempo. Quando ci troviamo a un bivio tra le promesse del Signore e i nostri problemi personali, è importante sapere come dominare i nostri pensieri. Di fronte a questo bivio, Dio non chiede mai di negare la realtà. Non è questo ciò che fece Abramo. Il capitolo 4 della Lettera ai Romani attesta che egli "non vacillò nella fede, pur vedendo (...) morto il seno di Sara." La fede non rinnega la realtà. La ricontestualizza dal punto di vista divino.

Ma l'estratto rivela più di questo. Rivela ciò che fece Abramo con i suoi pensieri. Non trascorse il proprio tempo rimuginando sugli avvenimenti della propria vita. Tenne a mente le proprie disavventure, ma decise di concentrarsi e meditare su Dio. Così facendo, la sua fede crebbe più forte, nonostante nulla delle sue disavventure fosse ancora cambiato. Per molti che esercitano il sacerdozio, l'attesa diviene un resoconto di come la loro fede si stia gradualmente spegnendo. Rimuginare sulle vostre disavventure avrà il solo effetto di lasciarvi intimorire da esse. Vi sembreranno sempre più gravi: vi sentirete sempre più indifesi, e la vostra visione di Dio ne risulterà annebbiata. Ma se meditate nel Signore, crescerà la vostra fede nella Sua presenza, potenza, lealtà e grazia. Le disavventure vi appariranno minori, e avrete nuova fiducia in voi stessi anche se niente sarà cambiato.

I contrattempi della vostra vita hanno mai preso il controllo dei vostri pensieri? La vostra fede si è mai indebolita in qualche modo? Oppure il perno del vostro cuore è un Dio infinitamente più grande di qualunque disavventura vi dobbiate mai trovare ad affrontare?

4. La paura del futuro.

Si vive e si predica sempre con il rischio dell'incertezza. Nella vita come nel sacerdozio, noi sacerdoti siamo tenuti a fidarci, obbedire, e avere fiducia che Dio ci farà da guida e provvederà. Nessuno di noi sa quello che succederà domani, figuriamoci il mese prossimo o il prossimo anno. Non si possono avere certezze cercando di venire a capo di tutto o di indovinare le intenzioni di Dio nel Suo arcano disegno. Non per niente volere di Dio è un mistero! Eppure siamo sempre desiderosi di conoscere, di sapere quello che succederà prima del tempo. Più vi concentrerete sul futuro, più permetterete alla paura del futuro di prendere il controllo, e più sarete confusi e scoraggiati nei confronti del presente.

Non sapere è una tortura. Sarebbe bello sapere se quell'anziano cederà alla tentazione di seminare zizzania. Sarebbe bello sapere se la situazione economica della Chiesa conoscerà mai una ripresa. Sarebbe bello sapere che impattò avrà sui fedeli quella nuova predica, o se quei giovani missionari effettueranno tutti i miglioramenti necessari, o se otterrai il permesso di costruire quel tanto agognato edificio di culto. Troviamo difficile affrontare questioni relative al futuro perché troviamo difficile avere fiducia in Dio. Colui a cui promettiamo di affidarci sa tutto riguardo al futuro, perché ne controlla ogni aspetto. La nostra paura del futuro porta alla luce la nostra difficoltà a fidarci di Lui, e, pertanto, a confidare nella Sua guida e nella sua assistenza, pur non sapendo cosa ci succederà in futuro. Avere fede in Dio è l'unico modo di essere liberi dal temere l'indomani. Se la fiducia in Dio è più grande della mia paura dell'ignoto, mi sarà possibile stare in pace con me stesso, anche se non ho la minima idea di cosa mi aspetta.

Il futuro è un peso sulle vostre spalle, pieno di dubbi e di incertezza? Oppure vi concentrate sul presente e su come migliorarlo, lasciando il domani nelle esperte mani di Dio?

Quanto vi tormentano gli scenari ipotetici? Accogliete l'ignoto con aspettativa o con inquietudine? La presenza di Dio e le Sue promesse riescono a calmare le vostre domande senza risposta riguardo al futuro?

Meditate sulle domande poste in questo articolo, rispondete onestamente a ciascuna, e poi chiedete umilmente che la Grazia possa salvarvi dalle paure a cui ancora non siete riusciti a sfuggire. Rendete poi omaggio al Re che servite, Colui che solleva i vostri fardelli di incertezza anziché condannarvi per averli portati.