È giusto che la sofferenza porti all'introspezione?

Da Libri e Sermoni Biblici.

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</p><p>Soffrire non dovrebbe portare a dedicare una quantità enorme di tempo all’autoanalisi, ma solo quel tanto necessario a convertirsi.
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'''È giusto che la sofferenza porti all'introspezione?'''
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</p><p>In altre parole, è mia convinzione che la sofferenza sia il grido lanciatoci da Dio (laddove la beatitudine è il suo sussurro). Il dolore ci segnala che potrebbe esserci qualcosa che non va nella nostra vita (non che debba sempre esserci, ma potrebbe), e ci invita dunque a fermarci e chiederci: "Se ripenso ora ai giorni scorsi, sono caduto in una routine fatta di scarso entusiasmo, o d'indifferenza? Ho ceduto all'amarezza e al risentimento? Ho trattato i miei figli, mia moglie e i miei colleghi in modi che non si confànno a una vita consacrata alla misericordia?"
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</p><p>È bene ripensare al passato per fare del dolore un campanello d'allarme a beneficio della nostra coscienza. Tuttavia, se vi ripensiamo senza riuscire a trovare sostanziali differenze tra adesso e i tempi passati a procedere passo a passo con il Signore, beandoci nella sua benedizione, non dobbiamo per forza concludere che la nostra sofferenza sia la conseguenza diretta di un nostro determinato peccato o difetto. Al contrario, dovremmo dire: "Signore, io non vedo alcuna correlazione particolare. Tutto quello che so è che tu mi ami, e che io sono un peccatore che non sempre adotta gli atteggiamenti giusti.  Ti chiedo solo di ricavare il massimo profitto dal dolore provocatomi da questo conflitto. Fa' che nessuno dei vantaggi ricavati per me dal dolore nel tuo disegno divino vada perduto."
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Soffrire non dovrebbe portare a dedicare una quantità enorme di tempo all’autoanalisi, ma solo quel tanto necessario a convertirsi.
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</p><p>È quello che faccio sempre io. La mia gola si secca; oppure sento un piccolo, minuscolo dolore e chiedo: "Signore, c'è qualcosa che stai cercando di farmi notare?" Di solito, non trovo nulla; così mi limito a pregare: "Signore, insegnami. Insegnami tutto ciò che hai in mente per me, e conducimi lungo il sentiero. E, quando avrai portato a compimento il tuo disegno, concedimi di essere risanato."
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In altre parole, è mia convinzione che la sofferenza sia il grido lanciatoci da Dio (laddove la beatitudine è il suo sussurro). Il dolore ci segnala che potrebbe esserci qualcosa che non va nella nostra vita (non che debba sempre esserci, ma potrebbe), e ci invita dunque a fermarci e chiederci: "Se ripenso ora ai giorni scorsi, sono caduto in una routine fatta di scarso entusiasmo, o d'indifferenza? Ho ceduto all'amarezza e al risentimento? Ho trattato i miei figli, mia moglie e i miei colleghi in modi che non si confànno a una vita consacrata alla misericordia?"
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È bene ripensare al passato per fare del dolore un campanello d'allarme a beneficio della nostra coscienza. Tuttavia, se vi ripensiamo senza riuscire a trovare sostanziali differenze tra adesso e i tempi passati a procedere passo a passo con il Signore, beandoci nella sua benedizione, non dobbiamo per forza concludere che la nostra sofferenza sia la conseguenza diretta di un nostro determinato peccato o difetto. Al contrario, dovremmo dire: "Signore, io non vedo alcuna correlazione particolare. Tutto quello che so è che tu mi ami, e che io sono un peccatore che non sempre adotta gli atteggiamenti giusti.  Ti chiedo solo di ricavare il massimo profitto dal dolore provocatomi da questo conflitto. Fa' che nessuno dei vantaggi ricavati per me dal dolore nel tuo disegno divino vada perduto."
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È quello che faccio sempre io. La mia gola si secca; oppure sento un piccolo, minuscolo dolore e chiedo: "Signore, c'è qualcosa che stai cercando di farmi notare?" Di solito, non trovo nulla; così mi limito a pregare: "Signore, insegnami. Insegnami tutto ciò che hai in mente per me, e conducimi lungo il sentiero. E, quando avrai portato a compimento il tuo disegno, concedimi di essere risanato."
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Versione corrente delle 11:35, 9 mag 2022

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English: Should suffering lead to self-examination?

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Il seguente testo consiste in un estratto dall’originale audio.

È giusto che la sofferenza porti all'introspezione?

Soffrire non dovrebbe portare a dedicare una quantità enorme di tempo all’autoanalisi, ma solo quel tanto necessario a convertirsi.

In altre parole, è mia convinzione che la sofferenza sia il grido lanciatoci da Dio (laddove la beatitudine è il suo sussurro). Il dolore ci segnala che potrebbe esserci qualcosa che non va nella nostra vita (non che debba sempre esserci, ma potrebbe), e ci invita dunque a fermarci e chiederci: "Se ripenso ora ai giorni scorsi, sono caduto in una routine fatta di scarso entusiasmo, o d'indifferenza? Ho ceduto all'amarezza e al risentimento? Ho trattato i miei figli, mia moglie e i miei colleghi in modi che non si confànno a una vita consacrata alla misericordia?"

È bene ripensare al passato per fare del dolore un campanello d'allarme a beneficio della nostra coscienza. Tuttavia, se vi ripensiamo senza riuscire a trovare sostanziali differenze tra adesso e i tempi passati a procedere passo a passo con il Signore, beandoci nella sua benedizione, non dobbiamo per forza concludere che la nostra sofferenza sia la conseguenza diretta di un nostro determinato peccato o difetto. Al contrario, dovremmo dire: "Signore, io non vedo alcuna correlazione particolare. Tutto quello che so è che tu mi ami, e che io sono un peccatore che non sempre adotta gli atteggiamenti giusti. Ti chiedo solo di ricavare il massimo profitto dal dolore provocatomi da questo conflitto. Fa' che nessuno dei vantaggi ricavati per me dal dolore nel tuo disegno divino vada perduto."

È quello che faccio sempre io. La mia gola si secca; oppure sento un piccolo, minuscolo dolore e chiedo: "Signore, c'è qualcosa che stai cercando di farmi notare?" Di solito, non trovo nulla; così mi limito a pregare: "Signore, insegnami. Insegnami tutto ciò che hai in mente per me, e conducimi lungo il sentiero. E, quando avrai portato a compimento il tuo disegno, concedimi di essere risanato."