Amore: una questione di vita & morte

Da Libri e Sermoni Biblici.

Versione delle 20:23, 27 ott 2016, autore: Pcain (Discussione | contributi)
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English: Love: A Matter of Life & Death

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Di John Piper su Amare gli Altri
Una parte della serie Let Us Walk in the Light: 1 John

Traduzione di Francesca Macilletti

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1 Giovanni 3:11-18

Poiché questo è il messaggio che avete udito fin dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno e uccise il proprio fratello. Perché lo uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste. Non vi meravigliate, fratelli [miei], se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama [il fratello] rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna.16 Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui[a], come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli [miei], non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità.

Il pensiero che lega il paragrafo che abbiamo appena letto e quello che abbiamo studiato la settimana scorsa, lo troviamo in 1 Giovanni 3:10. “In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello”. La prima proposizione di questo versetto riassume il precedente paragrafo (3:4-10) nel quale Giovanni sostiene che uno stile di vita retto o senza peccato, è la prova che siamo figli di Dio perché un germe divino rimane in noi (versetto 9), condividendo sempre di più la Sua natura con chi è senza peccato (versetto 5). Dall'altro lato, uno stile di vita fatto di abituale, persistente e ostinato peccato, è una chiara prova del fatto che non siamo figli di Dio, ma figli del demonio, condividendo la sua natura con chi non ha fatto altro che peccare (versetto 8).

Indice

Passare dal generale al particolare

Nella seconda proposizione del versetto 10, Giovanni va oltre, portandoci in una discussione riguardo l'obbligo cristiano ad amare il prossimo. Ora, la transizione di Giovanni da una discussione riguardo la rettitudine in generale a una riguardo l'amore in particolare, non dovrebbe sorprenderci. Non è qualcosa di nuovo per noi. Già nel capitolo 2, Giovanni ha seguito lo stesso schema. In 1 Giovanni 2:3-6, l'apostolo ha parlato in generale riguardo il rispettare i comandamenti di Dio e la certezza di conoscere quel Dio che porta in mezzo a noi tale obbedienza (versetto 3). Egli termina questa sezione affermando che “Chi dice di rimanere in lui, deve anch'egli comportarsi come lui si è comportato” (versetto 6). Ma come facciamo a camminare al suo stesso modo? Camminando nell'amore. Quindi, nei versetti 7-11 del capitolo 2 Giovanni sposta la discussione sull'amare il proprio fratello. Esso è, da un lato, l'antico comandamento che i lettori di Giovanni hanno ascoltato fin dall'inizio mentre, dall'altro lato, si tratta di un nuovo comandamento perché, il suo compimento, appartiene alla nuova èra in cui la vera luce già risplende.

Poi nuovamente nel capitolo 3, Giovanni segue lo stesso schema. La scorsa settimana, nei versetti 4-10 del capitolo 3, abbiamo preso in considerazione la discussione di Giovanni della giustizia e il modo in cui essa serve a fornire la prova della rinascita e della figliolanza divina. Giovanni ha parlato in termini generali riguardo al non peccare (versetti 6, 9) e al fare ciò che è giusto (versetti 7,10). Ma che cosa significa esattamente fare ciò che è giusto? La risposta è la stessa: fare ciò che è giusto significa amare il proprio fratello. Che è il tema del nostro passaggio odierno. Lo stesso flusso di pensiero del capitolo 2 è ripetuto nel capitolo 3. L'apostolo Giovanni scrive a spirale, non in linea retta. Ci sono pochi punti principali in 1 Giovanni, ma lui continua a trattarli ancora e ancora, ogni volta con parole diverse, di volta in volta a un livello sempre più elevato.

Il cuore del Vangelo apostolico

Giovanni inizia la sua discussione sull'amore nel versetto 11: “Poiché questo è il messaggio che avete udito fin dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri”. Il “poiché” all'inizio di questo versetto mostra che, nella mente di Giovanni, tale versetto è il terreno o il motivo del versetto 10 o, più precisamente, la ragione per cui egli può passare dalla giustizia in generale come una prova della filiazione divina, alla prova specifica dell'amore per i fratelli. La ragione per cui può fare questo cambiamento è che il comandamento di amarsi l'un l'altro era quello che i suoi lettori avevano ascoltato fin dall'inizio. L'imperativo morale per i cristiani ad amarsi, è stato al centro del Vangelo apostolico. E lo è ancora. Fin dall'inizio, cioè fin dal primo momento in cui hanno sentito il Vangelo, i lettori di Giovanni hanno saputo, senza ombra di dubbio, ciò che Dio si aspettava e autorizzava loro di fare: amarsi l'un l'altro.

In 1 Giovanni 2:7, l'apostolo di riferisce al comandamento dell'amore come a un comandamento antico, che i suoi lettori avevano ricevuto fin dall'inizio. Questa non era una novità per i lettori di Giovanni. E non dovrebbe essere una novità per noi.

Un messaggio udito sin dal principio

Il versetto 11 è impressionante: esso è parallelo (lo ripete quasi parola per parola) a 1 Giovanni 1:5. Il messaggio che i lettori di Giovanni avevano sentito era un messaggio dottrinale, il fondamento teologico per la loro fede che riposa nel carattere di Dio. “Or questo è il messaggio che abbiamo udito e che vi annunziamo: che Dio è luce, e che in Lui non vi sono tenebre alcune” (1:5). Ora, nel nostro versetto di oggi (3,11), il messaggio che abbiamo udito sin dal principio è altrettanto fondamentale, ma non riguarda più la dottrina, ma l'etica. “Poiché questo è il messaggio che avete udito fin dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri”. Il fondamento dottrinale che Dio è luce e morale, fondamento etico di amore reciproco, sono entrambi al centro del Vangelo apostolico. Il Vangelo non è completo a meno che non comprenda sia la dottrina che l'etica.

La dottrina è l'essenza del Vangelo – la dottrina circa il carattere di Dio; il peccato umano; il mediatore Gesù Cristo, che è il Dio fatto uomo; sulla sua vita, morte e resurrezione per perdonare i peccati del suo popolo e donargli la vita eterna; circa la necessità di una risposta personale di fede per fare nostra l'opera di Cristo. Ma è altrettanto vero che, l'essenza del Vangelo, comprende gli imperativi morali di pentimento e di una nuova vita di amore vissuta guidati da Cristo e confermati dal suo Spirito. A qualsiasi vangelo voi crediate, ogni vangelo che divulgate che non include né la dottrina né l'etica, è solo un vangelo a metà, tragicamente incompleto, radicalmente distorto, irrimediabilmente carente. Sia la dottrina che l'etica sono il cuore del Vangelo, perché sono così indissolubilmente legati. Il carattere di Dio che, proprio come la luce, è giusto, vero e amorevole, richiede e consente risposte morali da parte dei suoi figli. Queste risposte morali devono essere quelle dell'amore. Il nostro amore reciproco è richiesto dal carattere di Dio, ma è anche autorizzato dalla luminosità di quel Dio che è luce e amore, con il quale non vi è alcuna macchia. Solo quando vedremo, crederemo e custodiremo la luminosità di Dio, saremo liberi di affidare noi stessi e il nostro futuro nelle Sue mani. A quel punto, saremo liberi di dimenticarci di noi stessi per amare veramente qualcun altro.

Parlando da un punto di vista biblico, la dottrina e l'etica vanno sempre insieme. E, in entrambi i casi, sia in dottrina che in etica, il nostro bisogno non è per qualcosa di nuovo. Questo è quello che proclamavano i falsi maestri ai tempi di Giovanni. Erano quelli con le nuove rivelazioni. Erano quelli con le ultime idee. Erano quelli moderni, progressisti, “favorevoli”. Erano infatuati del nuovo. Ma, secondo Giovanni, non è questo di cui abbiamo bisogno. Ciò di cui abbiamo bisogno, che è quello di cui hanno bisogno i suoi lettori, è di tornare a quello che abbiamo sentito fin dall'inizio. Il comando di Giovanni in 2:24 si applica a noi in termini di etica e dottrina: “Dimori in voi ciò che avete udito dal principio”.

Come, ascoltare il comandamento, potrebbe andare contro di noi

Ma il fatto stesso che abbiamo ascoltato il comandamento di amaci l'un l'altro fin dall'inizio, può andare contro di noi. Direi che il 95% di voi ha ascoltato questo comandamento centinaia di volte. Lo avete sentito dai vostri genitori, dagli insegnanti del catechismo, dagli studiosi della Bibbia, dai predicatori; lo avete letto molte volte voi stessi nella Bibbia. E il pericolo che può incombere su di noi è la tentazione di smettere di pensare all'amore. Dopo tutto, l'abbiamo sentito prima di dirlo a noi stessi. Sappiamo già che dovremmo amarci l'un l'altro. Non dobbiamo sprecare il nostro tempo a pensare a queste cose. Andiamo avanti a cose più importanti e avanzate. Questa è una tentazione che tutti noi, come cristiani, conosciamo. E il tragico risultato di cedere ad essa è che, spesso, passiamo poco tempo a pensare al significato o alle implicazioni del comandamento biblico di amarsi l'un l'altro.

Bene, Giovanni non ci permetterà di farla franca con tali razionalizzazioni tragiche; e ho intenzione di fare del mio meglio, questa mattina, perché voi non la facciate franca riguardo questo argomento. Giovanni ha alcune cose molto importanti da dirci riguardo l'amore, e sono cose che abbiamo un disperato bisogno di sentire – e in special modo di vivere – come facciamo noi, in una cultura che è così confusa su cosa l'amore sia in realtà.

Due titoli principali

Vorrei riassumere il resto dell'insegnamento di Giovanni nei versetti 12-18 in due grandi categorie:

  1. La prova dell'amore, o ciò che l'amore dimostra
  2. L'essenza dell'amore, quello che l'amore realmente è.

Giovanni parla delle prove dell'amore nei versetti 14-15 e, unendoli, possiamo comprendere il suo insegnamento sull'essenza dell'amore. Questo insegnamento viene a noi sotto forma di due immagini contrastanti: un esempio negativo e uno positivo. I versetti 12-13 ci mostrano l'esempio negativo: Caino, che nel suo odioso ed estremo omicidio di suo fratello Abele, è il prototipo del mondo. Il suo esempio, dice Giovanni, non è affatto da seguire da parte dei cristiani. L'esempio positivo è, invece, presente nei versetti 16-18: Gesù Cristo, il cui esempio di amore sacrificale è da imitare e seguire da tutti noi, suoi discepoli.

1. La prova dell'amore

Vediamo, per prima cosa, la prova dell'amore nei versetti 14-15:

Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama, rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello, è omicida; voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dentro di sé.

La prova della vita spirituale

Che cosa dimostra uno stile di vita d'amore? In poche parole, la vita spirituale, la vita eterna, la vita di Dio stesso. O, per essere più precisi, uno stile di vita di amore dimostra in maniera forte e sicura che siamo passati dalla morte alla vita. Questa è la convinzione di Giovanni sulla natura di un cristiano. Un cristiano è colui nel quale si è verificata una resurrezione spirituale in unione con Cristo “dalla morte alla vita”. In 1 Giovanni 2:10, l'amore era la prova certa del fatto che un cristiano dimora nella luce. In 3:14, l'amore è la prova ancora più certa del fatto di avere la vita. Il contrario è anche vero. “Chi non ama rimane nella morte”, così come egli è “nelle tenebre” secondo 2:9,11. Nel pensiero di Giovanni, amore, luce e vita vanno di pari passo, proprio come odio, tenebre e morte.

Amate o uccidete

L'argomentazione di Giovanni della sua ultima affermazione nel versetto 14 (“Chi non ama [il fratello] rimane nella morte”) la troviamo nel versetto 15: “Chiunque odia suo fratello è omicida”. Ora, notare il cambiamento di terminologia. Nel versetto 14, Giovanni parla di "non amare" e, in quello 15, parla di odiare. È molto importante riuscire a vedere come Giovanni, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, eguagli i due. Per Giovanni è tutto o bianco o nero. Egli non ha vie di mezzo: o amate qualcuno o lo odiate. Per quanto voi o io possiamo provarci, non potremmo mai stare nel mezzo e dire: “Non amo quella persona, ma neanche la odio”. Giovanni non ci permetterà di dirlo. Non amare è odiare. E l'odio equivale a un omicidio. “Chiunque odia suo fratello è omicida”.

Eguagliando colui che odia a un assassino, Giovanni riflette fedelmente l'insegnamento di Gesù nel discorso della montagna (Matteo 5:21ff). Non si tratta di un'esagerazione. Essa mostra la suprema preoccupazione di Gesù per ciò che accade nel cuore umano. L'odio è desiderare che una certa persona non esista; è il rifiuto di riconoscere i suoi diritti come persona; è il desiderio di ferirla o, addirittura, di ucciderla. Se io odio una persona, non sono diverso da un assassino nel mio atteggiamento verso di essa. E, con Dio, fa poca differenza se io abbia effettivamente la possibilità di realizzare i desideri del mio cuore oppure no. Le persone che odiano sono assassini, secondo Gesù e secondo Giovanni, “e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna”. Giovanni non nega la possibilità di pentimento e perdono per il peccato di omicidio. Il ladro sulla croce è un esempio che può e deve essere messo in pratica. Ciò che Giovanni sta affermando è il principio generale secondo cui, prendere una vita, equivale a perdere la vita. E nessun omicida ha la vita eterna in suo possesso.

Una responsabilità speciale per i cristiani

Ora, un altro cambiamento nella terminologia si verifica in questi versi che stiamo per prendere in considerazione. Nel versetto 14a, Giovanni parla di amare i fratelli mentre, nel versetto 14b, parla di non amare, punto. La forma generalizzata dell'ultima proposizione dovrebbe metterci in guardia dal limitare il nostro obbligo di amare i nostri fratelli e sorelle cristiani. Tuttavia, il forte e ripetuto riferimento ad amare i fratelli (versetti 10, 14, 15, 16) e di amasi l'un l'altro (versetto 11), oltre al fatto che Giovanni si rivolge ai suoi lettori col nome “fratelli” nel versetto 13 – l'unica volta nella lettera in cui usa quella parola per indirizzarsi ai suoi lettori (tutte le altre volte, si indirizzi loro utilizzando le parole “carissimi”, “figli”, “bambini”) - tutto questo sembra indicare una responsabilità speciale, che abbiamo in quanto cristiani, di amare e avere cura dei nostri fratelli e sorelle in Cristo. Non è una responsabilità esclusiva – per chiarirci, ci viene comandato di amare il prossimo, cioè tutti gli uomini e le donne. Ma si tratta di una responsabilità speciale, come dice Paolo in Galati 6:10: “Così dunque, secondo che ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente a quei della famiglia dei credenti”.

Riassumiamo, dunque, questa sezione sulla prova dell'amore. Stili di vita di amore e odio (e parlo di stili di vita perché tutti questi verbi sono al presente e, se ricordate dalla settimana scorsa, i verbi coniugati al presente denotano, in greco, una continuità) sono molto rivelatori. In particolare, essi rivelano se una persona è ancora morta o se sia già passata alla vita. Le persone che amano costantemente e coerentemente altre persone in modo pratico e sacrificale – tutte quelle persone e solo quelle persone – possono avere la certezza di possedere la vita eterna di Dio stesso. Fratelli e sorelle, amarsi l'un l'altro non è una cosa banale; non è opzionale. Amarsi l'un l'altro è di fondamentale ed eterna importanza. Si tratta di una questione di vita o di morte.

2. L'essenza dell'amore

Ma se l'amore è così importante, abbiamo bisogno di sapere cosa esso sia, in modo da poterlo praticare. E Giovanni ci dà un grande aiuto, perché procede a parlare nel dettaglio per precisare l'essenza dell'amore. Come abbiamo visto in precedenza, egli lo fa contrastando un esempio di odio – Caino – con uno di supremo amore – Gesù Cristo. Guardiamo prima all'esempio di Caino e vediamo il tipo di persona che non dobbiamo essere.

L'esempio di Caino

Versetto 12: "[Dobbiamo amare] Non come Caino, che era dal maligno e uccise il proprio fratello”. Secondo Genesi 4:18, Caino uccise suo fratello Abele dopo che il sacrificio di quest'ultimo del primogenito del suo gregge venne accettato da Dio, mentre il suo sacrificio dei frutti della terra, no. Secondo Ebrei 11:4, il sacrificio di Abele era accettabile per Dio perché è stato fatto nella fede. Quello di Caino, evidentemente, non lo era. È la mancanza di fede di Caino ad averlo portato ad odiare suo fratello; odio che è aumentato sempre di più fino al momento dell'omicidio, un omicidio brutale. La parola greca significa letteralmente “tagliare la sua gola” e potrebbe essere tradotta con “macellare” o “macellato”. E, per Giovanni, l'omicidio era la prova che Caino era dal maligno. Caino condivide la natura del diavolo che, secondo Gesù in Giovanni 8:44, “è stato omicida fin dal principio”.

E perché Caino uccise il fratello? Non perché Abele fosse malvagio, ma il contrario. Secondo la fine del versetto 12, Caino uccise Abele “Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste”. Qual è stato il movente dell'omicidio di Caino? La gelosia, l'invidia. La gelosia è un movente comune dell'odio e dell'omicidio. Nel film “Amadeus” è stata la gelosia a spingere Salieri ad odiare e, in ultimo, cercare di uccidere Mozart: era geloso delle superiori doti musicali dell'avversario. Ma la gelosia di Caino non era di questo tipo. Non si trattava di una gelosia per i doni superiori dell'altro, ma per la superiore giustezza dell'altro. È stata la stessa gelosia per cui i capi ebraici di quel tempo vollero crocifiggere Gesù; la stessa gelosia che portò Saulo di Tarso a perseguitare i cristiani. Giovanni la esprime in questo modo in Giovanni 3:19-20:

“E il giudizio è questo: che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Poiché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano riprovate”.

La luce della giustezza di Abele (per la sua fede - Ebrei 11: 4) e il fatto che Dio lo avesse accettato, hanno rivelato le tenebre e il peccato nel cuore di Caino. E lui si è sentito minacciato. E a meno che lo Spirito di Dio vi abbia reso molto umili, la risposta istintiva in quel tipo di situazione di pericolo sarebbe stata come quella di Caino, e vi sareste scatenati contro colui che, con la sua giustezza, ha rivelato il fallimento della vostra anima. Questo è quello che accadde a Caino. Il diavolo ha insinuato la gelosia nel suo cuore; e questa gelosia ha portato all'odio; e quest'odio ha portato all'omicidio. Giovanni ci presenta Caino come il modello del mondo. Il “mondo”, cioè l'umanità, si è ribellato a Dio: è la posterità di Caino e continuerà a rispondere alla giustezza al suo stesso modo. Pertanto, dice Giovanni nel versetto 13: “Non vi meravigliate, fratelli [miei], se il mondo vi odia”. Non dovremmo essere sorpresi se il mondo ci odia come cristiani. Dopo tutto, lo stesso diavolo che ha ispirato Caino ad odiare e infine uccidere Abele, ha il mondo nella sue mani.

L'esempio di Cristo

Ma noi, come cristiani, non dobbiamo essere come Caino. Dobbiamo piuttosto essere come Cristo, che Giovanni ci presenta, nel versetto 16, come il grande ritratto positivo dell'amore. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli”. Gesù Cristo e la sua morte sulla croce per il suo popolo, ci rivelano ciò che l'amore è realmente (“Da questo abbiamo conosciuto l'amore...”). E ci fornisce l'esempio supremo che dobbiamo seguire (“anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli”).

Tre motivi per cui la morte di Gesù è l'esempio supremo di amore

Ora, vorrei suggerirvi tre ragioni per cui la morte di Gesù sulla croce ci dovrebbe servire come esempio supremo di amore.

1.Ha comportato il più grande sacrificio possibile

Prima di tutto, ha comportato il più grande sacrificio possibile. Cristo ha dato la sua stessa vita per noi. L'amore riempie di così tanta gioia la vita di una persona, che questa sarà disposta a sacrificare a tutti i costi il proprio benessere per il bene dell'altro. La vita di una persona è il suo bene più prezioso. Derubarla di tale dono, compiendo un omicidio, è il peccato più grande che si possa commettere contro di essa. Per lo stesso motivo, dare la propria vita per il bene di quella di un altro, è la massima espressione possibile di amore. Ricordate quanto detto da Gesù in Giovanni 15:13: “Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi amici”. Giovanni ci mostra un forte contrasto. L'odio di Caino sfociato in omicidio e l'amore di Gesù sfociato nel sacrificio di sé stesso, fino al punto di dare la sua stessa vita per noi.

2.Soddisfa i nostri bisogni più profondi

In secondo luogo, e cosa ancora più importante, la morte di Cristo sulla croce è l'esempio supremo di amore nel senso che soddisfa le nostre esigenze in un modo che nessun altro potrebbe mai. Non è solo il più grande sacrificio possibile, ma ci regala anche il maggior bene possibile. Le parole chiave nel versetto 16 sono: “egli ha dato la sua vita per noi”. Vedete, il sacrificio di sé non è intrinsecamente prezioso, ma diventa amore solo se è correlato alla necessità umana. Solo se il sacrificio opera per il bene di un altro, ha valore agli occhi di Dio. Credo che questo sia ciò che Paolo intendeva dire in 1 Corinzi 13:3: “E se distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e se dessi il mio corpo ad essere arso [c'è il sacrificio di sé], se non avessi carità [cioè, il sacrificio non soddisfa per forza le esigenze di chiunque altro], ciò niente mi gioverebbe”. Ma l'amore di Cristo per noi è estremamente positivo – il vero amore lo è sempre. L'amore lo ha portato a dare la vita per noi. Anche in questo caso, vi è un netto contrasto. In Genesi 4:8 leggiamo: “Caino si levò contro Abele suo fratello, e lo uccise”. In 1 Giovanni 3:16 leggiamo: “[Cristo] ha dato la sua vita per noi”. E, in quelle preposizioni, il “contro” di Genesi 4:8 comparato al “per” di 1 Giovanni 3:16, troviamo la differenza tra amore e odio, tra vita e morte. La morte di Gesù Cristo è l'esempio supremo d'amore, perché soddisfa le nostre esigenze più profonde, ci porta la pace con Dio, il perdono, la coscienza pulita, la speranza per il futuro, il potere di amare nel presente, ecc ecc. Fa la cosa migliore per noi.

3. È stato il più grande motivo possibile

Ma, la morte di Gesù incarna l'amore, non solo perché è stato il sacrificio più grande possibile compiuto per il bene più grande. Essa si è compiuta anche per il più grande motivo possibile. Secondo Giovanni 12:28, Gesù andò alla croce per glorificare il nome del suo Padre celeste. E lo scrittore di Ebrei ci dice che Gesù si sottopose alla croce “di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi” (Ebrei 12:2). Questi due obiettivi indissolubili – la gloria di Dio e la nostra gioia e il nostro piacere in essa – devono essere il motivo supremo per ogni atto d'amore. Provenivano da Gesù e sono per noi.

Una definizione dell'amore cristiano

Combinando questi tre elementi, siamo in grado di formulare questa definizione dell'amore cristiano. L'amore cristiano è trovare la propria gioia nel lavoro attivo per la gioia di un altro, anche a costo di sacrificare un proprio piacere. E tutto per la gloria di Dio. È questo il tipo di amore che possediamo in quanto cristiani, e il tipo di amore che dobbiamo diffondere.

Come possiamo amare gli altri allo stesso modo di Cristo

Il versetto 16b: “anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli”. C'è un “dovere”. Questo è l'imperativo morale dell'amore che è al cuore del Vangelo. Dobbiamo riflettere agli altri lo stesso amore che Gesù ha provato per noi. Dobbiamo deliziarci tanto nel fare loro del bene, da essere disposti a rinunciare alla nostra stessa vita per gli altri.

Ma, come sapete, non molti di noi avranno la possibilità di morire per l'altro. Ma quello che tutti noi abbiamo costantemente, sono le opportunità per dimostrare l'amore cristiano in modi più da grattacapo – come condividere i nostri beni con chi è nel bisogno. Il versetto 17 porta l'amore cristiano sulla Terra, e lo pone esattamente nella vita di tutti i giorni. “Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?”.

Avere i “beni di questo mondo”

Due condizioni sono fornite in versetto 17, che obbligano il cristiano ad aiutare un suo fratello in difficoltà, per essere un buon samaritano. Essi sono, in primo luogo, avere i “beni di questo mondo”. La parola “beni” è stata tradotta dalla parola greca “bios”, la stessa parola usata da Giovanni in 1 Giovanni 2:16 quando fa riferimento a “la superbia della vita (bios)”, che è del mondo. La parola si riferisce alle risorse necessarie alla vita in questo mondo. E, secondo Giovanni, queste risorse – questo "bios" – può essere un motivo di orgoglio o un veicolo di amore.

Vedere il vostro fratello in difficoltà

La seconda condizione di cui al versetto 17, è quella di vedere il vostro fratello in difficoltà (sia con i vostri occhi che con quelli degli altri – ad esempio i missionari, i media, ecc). Il punto di Giovanni è che, se sono soddisfatte entrambe le condizioni, se vedete un fratello in difficoltà e se disponete delle risorse necessarie ad aiutarlo, non potete stare a guardare senza far niente. Se lo faceste, se “chiudeste il cuore a lui [il vostro fratello]”, se non provaste pietà nel vostro cuore per lui, se non agiste per soddisfare i suoi bisogni, la conclusione sarebbe ovvia. L'amore di Dio non sarebbe in voi. L'amore di Dio per voi non può essere imbottigliato, contenuto. Fluirà inevitabilmente fuori di voi. Quindi Giovanni può affermare che, se non c'è un deflusso di amore, non vi è stato alcun afflusso.

Amiamo con opere e verità

Il versetto 17, porta l'amore cristiano verso il nocciolo della vita di tutti i giorni, non è forse vero? Esso dice di condividere le risorse materiali con chi è nel bisogno, sia esso spirituale o fisico. E anche quelli di voi che hanno il reddito più limitato, hanno qualcosa da condividere. Forse direttamente con le persone, o attraverso la chiesa, o tramite agenzie come CES o di altre agenzie missionarie. Ma il punto è chiaro. Come possiamo dire di essere disposti a dare la vita per i fratelli, se non siamo disposti a utilizzare ciò che abbiamo per il loro bene? Il versetto 17 ci dice di condividere il nostro tempo con chi si trova nel bisogno. Molte volte, è questo quello di cui una persona ha bisogno. Molto più di quanto abbia bisogno di soldi. Ci vuole tempo per diventare un amico; ci vuole tempo per parlare, ascoltare, per alleviare la solitudine. E, per molti di noi, è più difficile condividere il nostro tempo piuttosto che i nostri soldi. È questo, secondo me, il cuore della battaglia. E credo che sia il cuore della battaglia anche per molti di voi. Ma se voi o io chiudiamo i nostri cuori privando del nostro tempo un fratello o una sorella in difficoltà, come può l'amore di Dio essere in noi?

Il versetto 17 può riferirsi anche alla condivisione di risorse spirituali con una persona nel bisogno attraverso una parola di incoraggiamento, di un'esortazione della Bibbia o attraverso la costante preghiera intercessa. E, in molti casi, tale sacrificio è maggiore rispetto ad altri. Le battaglie spirituali sono molto reali e molto intense; l'energia spirituale necessaria è sconcertante, ma le ricompense sono ricche e l'abbondante gloria per il nome di Dio è molto, molto grande.

Tutto questo è amore. E uno stile di vita coerente di amore sincero che sia pratico e sacrificale, è ciò che Dio si aspetta dai suoi figli. E questo stile di vita di amore è ciò che Dio consente a ciascuno dei suoi figli attraverso il Suo Spirito. Amarsi l'un l'altro, è importante per noi cristiani. È realmente una questione di vita o di morte. Le nostre vite che si amano l'un l'altro con amore cristiano saranno vite di gioia come noi sperimentiamo la verità delle parole di Gesù, che è più felice nel dare che nel ricevere. Saranno vite sicure, trovando solide prove che Dio, per Sua grazia, ci ha portato dalla morte alla vita. Saranno vite atte ad arricchire quelle degli altri. E saranno vite che porteranno grande gloria a Dio, perché faranno vedere agli altri le nostre opere buone e renderanno gloria al Padre che è nei cieli. E così, fratelli e sorelle, chiudo il discorso allo stesso modo di Giovanni, con una parola di esortazione: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità”.