Dove cercare quando ci troviamo in difficoltà
Da Libri e Sermoni Biblici.
Di Tullian Tchividjian su Santificazione e Crescita
Traduzione di Michela Venturi
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Nella Chiesa evangelica, si è verificato un cambio di prospettiva nella maniera in cui concepiamo il vangelo e non si tratta di una mera conversazione riservata a una élite di esperti. Questo cambiamento ci coinvolge nella sfera del quotidiano.
Nel suo libro Paul: An Outline of His Theology (Paolo: una visione d’insieme sulla sua teologia), il famoso teologo olandese Herman Ridderbos (1909 – 2007) riassume il cambio di prospettiva che ebbe luogo a seguito dell’avvento di Calvino e Lutero. Fu un cambiamento notevole, ma al tempo stesso sottile, che spostò il fulcro della salvezza dalle opere esterne di Cristo all’atto di appropriarcene internamente:
Mentre in Calvino e Lutero l’enfasi era posta sull’evento redentivo reso possibile dalla morte e resurrezione di Cristo, a seguito dell’influenza del pietismo, misticismo e moralismo, l’attenzione si spostò sull’appropriazione individuale dell’atto della salvezza concessoci da Cristo e sul suo effetto mistico e morale nella vita del credente. Allo stesso modo, nella storia dell’interpretazione delle epistole di Paolo, il centro focale si spostò sempre più dalla dimensione forense agli aspetti pneumatici ed etici del suo predicare, e da qui sorse una concezione completamente differente delle strutture che costituiscono le fondamenta delle prediche di Paolo.
Donald Bloesch fece una simile osservazione nello scrivere, “Tra gli Evangelici, non è la giustificazione degli empi (che rappresentava un tema fondamentale durante la Riforma) ma la santificazione dei giusti a ricevere maggiore attenzione.”
Questo cambio di prospettiva ha comportato un rinnovato interessqualità e verso la vita interna dell’individuo. La domanda del tutto soggettiva, “Cosa sto facendo?” ha assunto maggiore rilievo rispetto all’interrogativo oggettivo, “Cosa fece Gesù?” Di conseguenza, l’insegnamento ricevuto da generazioni di cristiani è che la cristianità era prima di tutto uno stile di vita; che l’essenza della nostra fede si fondava sul “modo in cui viviamo”; che la vera cristianità si manifestava nel cambiamento morale che sorgeva in coloro i quali avevano instaurato una “relazione personale con Gesù.” I nostri sforzi costanti verso Gesù, e non più le azioni che Gesù compie per noi, divennero pertanto il centro focale di sermoni, libri e conferenze. Il risultato finale dipendeva dalle azioni che ciascuno di noi doveva compiere e da ciò che dovevamo divenire.
Che lo crediate o no, questo cambiamento di prospettiva dal “forense al pneumatico”, dalla dimensione esterna a quella interna, ha delle conseguenze pratiche vincolanti.
Quando ci troviamo sull’orlo della disperazione – con gli occhi puntati verso l’abisso più nero e nel mezzo di una notte oscura dell’anima – cercare risposte nella qualità interna della nostra fede non ci fornirà alcuna speranza, soccorso o sollievo. Troppo spesso le prediche (e i consigli) che diamo sono come lezioni di nuoto offerte a qualcuno che sta per affogare: “Dai bracciate con più forza, muovi le gambe più velocemente.” Crediamo che le persone posseggano il potere di risolvere le cose e per questo le spingiamo a cercare risposte all’interno di se stesse. (Curiosamente, Martin Lutero definisce il peccato come “l’umanità che si chiude dentro se stessa.”) Tuttavia, come molti già sanno, ogni interrogativo interno cede sotto il nostro peso. L’unico modo in cui possiamo trovare pace, una nuova direzione e aiuto è dirigendoci verso l’oggetto esterno della nostra fede, ovvero Cristo e l’opera che egli ha compiuto per la nostra salvezza. Quando desideriamo e abbiamo bisogno di rassicurazioni in momenti di disperazione e dubbio, il vangelo indirizza sempre la nostra attenzione verso qualcosa, o meglio Qualcuno, che si trova all’esterno e non verso ciò che celiamo al nostro interno. La sicurezza che bramiamo nei momenti in cui tutto sembra crollare non deriva dalla scoperta del devoto ”eroe interiore” ma dalla realizzazione che, indipendentemente da come possiamo sentirci e da ciò che stiamo attraversando, siamo già stati scoperti dall’“Eroe esterno.”
Come scrive Sinclair Ferguson nel libro La vita cristiana:
La vera fede trae il suo carattere e dall’oggetto su cui si concentra e non da se stessa. La fede fa fuoriuscire l’uomo dai propri limiti e lo fa entrare in contatto con Cristo. La sua forza, perciò, dipende dal carattere di Cristo. Persino quelli che sono guidati da una fede incerta contano sulla forza di Cristo come tutti gli altri!
Attraverso il suo Spirito, Cristo agisce in modo continuo e soggettivo su di noi e il suo lavoro consiste nel dirigerci costantemente ogni giorno verso l’opera oggettiva che Egli ha compiuto per noi. L’atto di santificazione poggia sulla giustificazione, e non al contrario. Il Vangelo è la buona novella che annuncia l’infallibile fede che Cristo dimostra di avere verso di noi, nonostante la nostra mancanza di devozione nei Suoi confronti. Il vangelo non ci impone di aggrapparci a Gesù. Al contrario, ci promette che, per quanto la nostra fede possa essere debole in quei momenti di depressione spirituale, Dio ci sorregge sempre.
Martin Lutero coniò un termine per descrivere il pericolo debilitante che deriva dall’incontrare la speranza dentro noi stessi: monstrum incertitudinis (il mostra dell’incertezza). È un pericolo che ha sempre afflitto i cristiani sin dalla caduta ma soprattutto in questa epoca di estremo soggettivismo. Si tratta di un mostro che può essere sconfitto solo dalle promesse esterne che Dio ripone in Cristo.
Nel libro dei Romani 5:1, si riporta “Pertanto, giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.” È una pace reale radicata in un vero cambiamento della nostra condizione dinnanzi a Dio – dal prostrarsi colpevoli di fronte a un Dio giudice al presentarsi nella nostra virtù dinnanzi a Dio nostro Padre. Questa è la certezza oggettiva che persino il credente più incerto custodisce. È una pace che poggia direttamente sul fatto che ci siamo già “riconciliati con Dio attraverso la morte di Suo Figlio” (v. 10) e giustificata definitivamente dinnanzi al Signore grazie alla fede nell’opera che Cristo ha portato a termine. Sebbene generi con ogni probabilità sentimenti veri ed azioni ferme, la pace che Paolo descrive poggia solidamente sull’opera che Cristo compie per noi, fuori da noi. A dire il vero, più cerco la pace all’interno del mio cuore, meno la trovo. Al contrario, più mi rivolgo a Cristo e alla sua promessa di pace, più la incontro.
Perciò, quando vi sentite oppressi, guardate verso l’alto. Nel progetto di Dio, l’unica via d’uscita è sempre verso l’alto, non verso l’interno.