L’oscura Notte dell’Anima
Da Libri e Sermoni Biblici.
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Versione corrente delle 20:51, 16 ott 2009
Di R.C. Sproul
su l'Afflizione
Una parte della serie Right Now Counts Forever
Traduzione di Giorgio Conte
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La notte scura dell’anima. Questo fenomeno descrive un malessere del quale anche il più grande dei cristiani ha sofferto almeno una volta. Era la malattia che portò Davide a bagnare di lacrime il suo cuscino, che guadagnò a Geremia il soprannome di “profeta piangente” e che afflisse così grandemente Martin Lutero al punto che la sua malinconia minacciò di distruggerlo. Non si tratta di una comune crisi depressiva, ma è una depressione collegata a una crisi di fede, un mutamento improvviso che avviene quando si sperimenta la mancanza della presenza di Dio o quando nasce un senso di abbandono da parte Sua.
La depressione spirituale è reale e può essere acuta. Ci chiediamo come una persona di fede possa sperimentare tali abbattimenti spirituali, ma qualsiasi cosa li provochi non intacca la loro realtà. La nostra fede non è un’azione costante. É mutevole. Vacilla. Ci muoviamo di fede in fede, e mentre questo accade, tra un passaggio e un altro, possiamo avere periodi di dubbio, durante i quali gridiamo “Signore, io credo. Aiuta la mia incredulità”.
Possiamo anche pensare che la buia notte dell’anima sia qualcosa di totalmente incompatibile con il frutto dello Spirito, non solo quello della fede ma anche quello della gioia. Una volta che lo Spirito Santo ha invaso il nostro cuore con una gioia indescrivibile, come può esserci spazio in quella stessa stanza per delle tali tenebre? É importante per noi fare una distinzione tra il frutto spirituale della gioia e il concetto culturale di felicità. Un cristiano può avere gioia nel cuore mentre persiste ancora una depressione spirituale nella sua mente. La gioia che abbiamo ci sostiene durante queste notti oscure e non è soffocata dalla depressione spirituale. La gioia di un cristiano è una gioia che sopravvive a tutte le svolte sfavorevoli della vita.
Scrivendo ai Corinzi nella sua seconda lettera, Paolo raccomanda a chi legge l’importanza di predicare e di comunicare il Vangelo alla gente. Ma mentre scrive questo, ricorda alla chiesa che il tesoro che abbiamo da Dio non è contenuto in vasi d’oro e d’argento ma in quelli che l’apostolo chiama “vasi di terra”. Per questo motivo scrive “affinché questa grande Potenza sia attribuita a Dio e non a noi”. Immediatamente dopo aver ricordato ciò, l’apostolo aggiunge “Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perchè anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Co 4:7–10).
Questo passaggio indica i limiti della depressione che sperimentiamo. La depressione può essere profonda, ma non è permanente, né fatale. Notiamo come l’apostolo Paolo descriva la nostra condizione in svariati modi. Dice che siamo “tribolati, perplessi, perseguitati e atterrati”. Queste sono immagini potenti che descrivono il conflitto che i cristiani devono sostenere, ma ovunque descriva questo fenomeno, ne descrive al tempo stesso i limiti. Tribolati, ma non ridotti all’estremo. Perplessi, ma non disperati. Perseguitati, ma non abbandonati. Atterrati, ma non uccisi.
Così abbiamo questa pressione da reggere, ma, per quanto gravosa, essa non ci schiaccia. Possiamo essere confusi e perplessi, ma quel baratro nel quale ci precipita l’essere perplessi non porta a una completa e totale disperazione. Persino durante la persecuzione, per quanto seria possa essere, non siamo mai abbandonati, e anche se siamo sopraffatti e atterrati, come nel caso di Geremia, in noi c’è comunque spazio per la gioia. Pensiamo al profeta Abacuc, che, nella sua distretta, rimase fiducioso nonostante tutte le battute d’arresto che dovette subire, Dio gli diede dei piedi come quelli di una cerva, piedi che gli consentirono di procedere per luoghi alti e impervi.
Altrove, l’apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi, li ammonisce a non “angustiarsi di nulla”, dicendo loro che la cura per l’ansia si trova sulle propria ginocchia, che è la pace di Dio che calma il nostro Spirito e dissipa l’ansietà. In altre parole, possiamo essere ansiosi, nervosi e preoccupati, senza però essere alla fine sottomessi a una disperazione definitiva. Questo coesistere di fede e depressione spirituale si ritrova in modo anologo in altre enunciazioni bibliche sulle condizioni emotive. Ci viene detto che è perfettamente legittimo che dei credenti soffrano l'afflizione. Il nostro Signore stesso era un uomo di dolore e familiare con la sofferenza. Nonostante la pena possa raggiungere le radici dell’anima nostra, non deve produrre rancore. Il dolore è un’emozione legittima, a volte persino una virtù, ma nella nostra anima non ci deve essere spazio per il risentimento. Allo stesso modo, vediamo che è una cosa buona andare alla casa della lamentazione, ma anche nel gemito, quel sentimento avvilente non deve sfociare in acredine. La presenza della fede non garantisce l’assenza della depressione spirituale; comunque, l’oscura notte dell’anima lascia sempre il posto allo splendore della luce del giorno, la luce della presenza di Dio.