Come Rende Grazie Un Cuore Greve
Da Libri e Sermoni Biblici.
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Versione corrente delle 12:31, 13 apr 2022
Di Jon Bloom su Santificazione e Crescita
Traduzione di Susanna Giubileo
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Noi persone siamo piene di tormenti. Siamo piene di conflitti, interiori ed esteriori. Abbiamo problemi fisici e problemi in famiglia. Abbiamo problemi al lavoro e nelle nostre comunità pastorali. Abbiamo problemi con i vicini e nel nostro Paese.
Accettiamo le tribolazioni come metodo di espiazione dei nostri peccati, ma anche nel pieno dei nostri sforzi continuiamo ad essere tormentati dall'afflizione. Nonostante non fosse granché come consigliere, Elifaz, l'amico di Giobbe, ci aveva visto giusto quando affermò: "L'uomo nasce per soffrire, come la favilla per volare in alto." (Libro di Giobbe, 5:7). Gesù stesso disse: "Nel mondo avrete tribolazione" (Vangelo secondo Giovanni, 16:33 ND).
Pertanto noi, la maggior parte del tempo, siamo esseri dal cuore oppresso, poiché i cuori tormentati portano con sé pesanti fardelli.
E nel mezzo di tutti i nostri costanti conflitti interiori, Gesù ci dice: "Non sia turbato il vostro cuore." (Vangelo secondo Giovanni, 14:1). E Paolo, che conobbe tribolazioni più insistenti e più gravi di quante noi ne conosceremo mai, ci dice: "In ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi." (Prima lettera ai Tessalonicesi, 5:18).
Com'è possibile obbedire a tali comandamenti? La maggior parte di ciò che ci tormenta ha origine da mali morali, spirituali o naturali: eppure ci viene richiesto di rendere grazie?
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Il Cuore Più Greve Di Tutti
Nessun cuore nella Storia dell'umanità è stato tanto tormentato quanto quello di Gesù il giovedì 2 Aprile dell'anno 33 DC. Nessuno, neppure un marito o una moglie in lutto in una casa vuota; neppure un genitore in lacrime di fronte alla tomba del proprio figlio; nemmeno un cuore distrutto dal tradimento, neppure il dolore silenzioso per un figliolo disperso e non ancora prodigo; neppure l'animo desolato di chi riceve il risultato positivo di un test per determinare la presenza di una malattia terminale; neppure un prigioniero alle prese con la propria isolazione e la propria infinita vergogna... Nessuna sofferenza terrena è paragonabile a quella che pesava sul cuore di Gesù durante le ultime ore che passò su questa Terra.
Era il Passaggio del Calice, e Gesù è stato l'Agnello. Così come il vecchio padre Abramo condusse suo figlio lungo i tortuosi sentieri del monte Moria, il Padre dei secoli ha condotto suo Figlio all'altare sacrificale (Libro della Genesi, 22; Libro di Daniele, 7:13). Ma a differenza di Isacco, il Figlio dell'Uomo sapeva perfettamente cosa lo aspettava, e vi andò incontro volontariamente. Sapeva che nessun angelo avrebbe fermato la mano del Padre; nessun altro agnello sacrificale sarebbe stato sostituito a lui. Fu piuttosto lui a sostituire noi. E suo Padre lo stava conducendo al macello, dove sarebbe stato schiacciato, deriso e prostrato con dolori (Libro del profeta Isaia, 53:7,10).
E oh, di quali dolori e di quali sofferenze si fece carico (Libro del profeta Isaia, 53:3)! Gesù era perfettamente consapevole del prezzo che avrebbe dovuto pagare per espiare i peccati del mondo (Vangelo secondo Giovanni, 1:29 e 2:2). Era a conoscenza della natura, della vastità e del peso della giusta ira di suo Padre. Il termine "Schiacciato" non va inteso in forma metaforica; era una realtà spirituale. Il Figlio dell'Uomo (Vangelo secondo Giovanni, 1:1-3), il Figlio di Dio, (Lettera agli Ebrei, 1:1-3), il Verbo Incarnato (Vangelo secondo Giovanni, 1:14), il grande Io Sono (Vangelo secondo Giovanni, 8:58), il Signore in persona (Lettera ai Filippesi, 2:11), che è venuto al mondo per quell'unico scopo, ha supplicato il Padre di risparmiarlo, nel più buio terrore, poco prima della fine. (Vangelo secondo Giovanni, 12:27; Vangelo secondo Matteo, 26:39).
A Pezzi, Eppure Grato
I suoi fardelli fisici e spirituali avrebbero superato qualsivoglia misura umana. Sarebbe stato disprezzato e rifiutato nei cieli, sulla terra e nel sottosuolo. Eppure prese il pane (che rappresentava la fragilità del suo stesso corpo), rese grazie e lo spezzò (Vangelo secondo Luca, 22:19). Con cuore incomparabilmente appesantito, e l'orrore che lo attendeva sempre più incalzante nella sua mente, Gesù rese grazie a suo Padre (lo stesso Padre che lo stava conducendo nell'oscurità più fitta mai provata da un essere umano) e poi spezzò il pane.
Non dovremmo sorvolare con leggerezza o frettolosità la gratitudine di Gesù in quanto tale, come se sapere che sarebbe andato tutto per il meglio abbia reso meno arduo il suo sacrificio. Egli rese grazie perché credeva che sarebbe andato tutto bene (Lettera agli Ebrei, 12:2). Ma noi sappiamo poco o nulla dell'agonia che ha provato, o dell'aggressione spirituale che ha subìto. Quello che sappiamo è che "[egli stesso] è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato." (Lettera agli Ebrei, 4:15). Perciò, nella nostra difficoltà a guardare oltre le difficoltà e vedere la gioia che Dio ci ha promesso, possiamo percepire una frazione della sofferenza infinitamente maggiore che lui ha dovuto affrontare.
Imparare Dal Suo Cuore Greve
Quando Gesù ci dice di non lasciare che i nostri cuori siano turbati, e di rendere grazie in ogni circostanza, sappiamo di avere un sommo sacerdote capace di patire con noi le nostre miserie (Lettera agli Ebrei, 4:15), e che ci ha dato l'esempio, perché ne seguiamo le orme (Prima lettera di Pietro, 2:21).
Qual è il suo esempio? Di fronte a un male non quantificabile, inesprimibile; la peggiore sofferenza mai patita dall'animo umano, Gesù ha creduto in Dio e nella promessa del Padre che il suo sacrificio sulla Croce avrebbe sconfitto il male peggiore e più demoniaco al mondo (vangelo secondo Giovanni, 3:16-17). Ha creduto che quando avesse "offerto sé stesso in espiazione" avrebbe"visto la sua discendenza" e "vissuto a lungo" (Libro del profeta Isaia, 53:10-11). Ha creduto che,umiliandosi sotto la potente mano di Dio, suo Padre lo avrebbe esaltato al tempo opportuno (Prima lettera di Pietro, 5:6), e che si sarebbe piegato ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua avrebbe confessato che Gesù Cristo era il Signore, alla gloria di Dio Padre (Lettera ai Filippesi, 2:11).
Ha creduto in un futuro pieno di gioia e di grazia, e questo ha permesso a Gesù di sopportare la Croce, e di rendere grazie quando stava venendo condotto al patibolo. Egli dà origine alla fede e la porta a compimento, perché ha creduto che la promessa del Padre suo era più certa della condanna che si trovava a dover affrontare in quel momento (Lettera agli Ebrei, 12:2). La sua resa di grazie ha costituito una forma suprema di preghiera, poiché non ha fatto altro che esprimere la fede di Gesù nei confronti del Padre.
Possiamo Rendere Grazie
Perciò, nel momento della prova, Gesù è in grado di dirci "Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me." e " Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!" (Vangelo secondo Giovanni, 14:1, 16:33). Chi crede in lui ha ogni motivo di "essere riconoscenti" (Lettera ai Colossesi, 3:15). Poiché una Croce e un Sepolcro vuoti ci dicono:
- In tutte le nostre difficoltà, Dio ha annunciato la fine sin dal principio (Libro del profeta Isaia, 46:10).
- Sappiamo che Egli ci ha predestinato al bene (Lettera ai Romani, 8:28).
- Sappiamo che porterà a compimento l'opera buona iniziata in noi, nonostante le tenebre che ci circondano in questo momento (Lettera ai Filippesi, 1:6).
- Sappiamo che, se ci fideremo del Padre nei omenti più difficili, bui e disperati, ne usciremo più che vincitori (Lettera ai Romani, 8:37-39).
- Sappiamo che Dio raccoglie nel suo otre ogni lacrima versata da noi (Salmo 56:8) e asciugherà ogni lacrima per sempre (Libro della Rivelazione, 21:4).
È possibile rendere grazie con il cuore pesante e nel bel mezzo delle avversità. Fidarci del Padre guardando a Gesù e ricordarci di riconciliarci con lui (Seconda lettera ai Corinzi, 1:20) alleggerirà il nostro fardello (Vangelo secondo Matteo, 11:30). Riverserà speranza e gioia nei nostri cuori addolorati, risollevando una resa di grazie adorante e forte nella fede.