Le benedizioni dell’umiltà
Da Libri e Sermoni Biblici.
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Versione corrente delle 21:29, 9 nov 2018
Di Jerry Bridges
su l'umiltà
Una parte della serie Tabletalk
Traduzione di Chiara Boarina
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I due tratti caratteriali cristiani più insegnati nel Nuovo Testamento sono l’amore e l’umiltà. Il passaggio tradizionale sull’amore è ovviamente quello presente in 1Cor 13. Il passaggio classico sull’umiltà, nonostante questa parola non sia mai usata, si trova in Mt 5,2-12, conosciuto come “le beatitudini”. Proprio come la prima lettera ai Corinzi descrive l’amore, le beatitudini descrivono l’umiltà.
Gesù iniziò il Suo insegnamento con “Beati i poveri in spirito” (Mt 5,3). I poveri in spirito sono coloro che si sono convinti della propria povertà spirituale. Continuano a vedere la loro peccaminosità anche da credenti. A differenza del fariseo ipocrita che pregava “Grazie Dio perché non sono come gli altri uomini”, loro si identificano con il pubblicano che urlava “O Dio, abbi pietà di me peccatore!” (Lc 18,9-13). Proprio questo è il punto di partenza dell’umiltà, con un profondo senso della nostra incessante peccaminosità.
Così continuò Gesù: “Beati gli afflitti” (Mt 5,4). Questa seconda beatitudine è la naturale conseguenza della prima. Quelli che sono consapevoli della loro continua peccaminosità, sono afflitti da questo fatto. Bramano di vedere condannati a morte i peccati persistenti delle loro vite, anche quei peccati “rispettabili” che spesso e volentieri tolleriamo in noi stessi.
Dalle prime due beatitudini emerge la terza: “Beati i miti” (Mt 5,5). La mitezza non è debolezza, ma, anzi, è forza. È l’attitudine di quelle persone che, dopo essersi rese conto della propria povertà spirituale, riconoscono che non si meritano niente dalla mano del Signore o da quella di altre creature celesti. Non si sentono risentite per la provvidenza divina avversa o per i maltrattamenti da parte di altre persone. Credono che Dio farà tutto per il loro bene e gli affidano il loro destino.
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia” (Mt 5,6). Cosa spinge i credenti ad avere fame e sete di giustizia? È la consapevolezza crescente della loro incessante peccaminosità e del fatto che i loro peccati siano mondati dal sangue di Cristo e che siano rivestiti dalla virtù del Signore. Desiderano ardentemente di essere nella loro esperienza quello che sono al cospetto di Dio. Bramano di essere liberati dal percorso peccaminoso delle loro vite e bramano di vedere quei tratti magnanimi che la Bibbia chiama “i frutti dello Spirito”. La tensione tra quello che desiderano essere e quello che ancora manca produce un continuo atteggiamento di umiltà verso Dio e le altre persone.
“Beati i misericordiosi” (Mt 5,7). La misericordia nella sua forma più basica denota un senso di peccato e compassione per quelli che si trovano in uno stato di miseria. Ma a volte significa anche perdono, come quando il pubblicano pregava “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Questo è senz’altro quello che Gesù intendeva in quel passaggio. La miglior descrizione di questa forma di misericordia è la parabola del servo senza pietà (Mt 18,23-35). Il re ebbe pietà di un servo che gli doveva 10 000 talenti e gli condonò quel terribile debito. Poco dopo il servo incontrò un altro servo come lui che gli doveva 100 denari (una somma irrisoria rispetto a quella che lui stesso doveva al re) e si rifiutò di perdonarlo. Dopo essere venuto a conoscenza dei fatti, il re disse “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi anche tu forse aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” (Mt 18,32.33).
I misericordiosi, quindi, sono quelli che si rendono conto di quanto sono stati perdonati e sono pronti a loro volta a perdonare quelli che hanno qualche colpa nei loro confronti. La misericordia inizia con l’umiltà, con un profondo senso della propria povertà spirituale unita a una crescente consapevolezza di quanto sono stati perdonati da Dio.
“Beati i puri di cuore” (Mt 5,8). Essere puri di cuore significa essere liberi dalla contaminazione che si trova nel profondo centro del nostro essere. Non vuol dire una perfezione senza peccato, ma vuol dire che la vita di quella persona è caratterizzata da un desiderio sincero e fa uno sforzo per perseguire quella santificazione, senza la quale è impossibile vedere il Signore (Ebrei 12,14).
“Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9). Un operatore di pace cerca innanzitutto di essere in pace con gli altri. Come scrisse Paolo: “Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti.” (Rom 12,18). Questo significa che dobbiamo prendere l’iniziativa di fare pace anche quando subiamo dei torti. Solo quando avremo questa attitudine verso noi stessi riusciremo ad essere operatori di pace con gli altri.
Chi cerca di vivere senza queste 7 beatitudini di solito spicca nella società. Sarebbe normale pensare che le persone apprezzate sono quelle le cui vite sono caratterizzate dai tratti che abbiamo detto. Ma spesso è il contrario ad essere vero. La società non apprezza l’umiltà perché è in contrasto con i suoi valori. Di conseguenza potresti anche essere vituperato e perfino perseguitato, ma alla fine sarai graziato perché “Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Lettera di Giacomo 4,6).